Il terremoto del 30 ottobre con epicentro tra Umbria, Marche e Lazio è stato seguito da numerose scosse che continuano a tenere la popolazione in uno stato di tensione: l’ultima è stata avvertita nella mattinata del 1 novembre. Secondo la protezione civile e il Governo nella zona ci sono duecentomila case lesionate e 22 mila persone assistite. Molta la paura anche dei più lontani dall'epicentro. Ne abbiamo parlato con Pawel Gajewski pastore valdese in Umbria.
Come vivono la situazione le persone delle comunità di Perugia e Terni?
«Lo riassumerei in una sola parola: paura. Domenica mattina qui la scossa si è sentita molto forte, e diverse persone vivono in uno stato di perenne ansia e preoccupazione.Tra Terni e Perugia non abbiamo avuto danni materiali, ma già a Ferentillo, diversi edifici hanno subito danni gravi, il comune ha attivato il programma di accoglienza delle persone che non vogliono dormire nelle proprie abitazioni. Da un lato c'è molta paura, dall'altra il desiderio di superare questo momento e naturalmente di ricostruire e ricominciare a vivere serenamente».
Cosa hanno fatto le chiese dal punto di vista spirituale e comunitario per affrontare la situazione?
«Lo hanno fatto da entrambi i punti di vista. Già domenica scorsa i due culti che abbiamo celebrato a Terni e Perugia non potevano prescindere da tutto ciò che stiamo vivendo. C'è una riflessione sulla precarietà, tutto ciò che sembra forte e robusto dimostra la sua vulnerabilità e la sua precarietà in queste occasioni. Naturalmente è sorta subito la domanda su che cosa si può fare sul piano pratico: a Perugia diverse persone sono andate come volontarie nelle zone colpite, altre lavorano nelle forze dell'ordine o nella pubblica amministrazione e anche da loro abbiamo potuto raccogliere testimonianze dirette dell'impegno delle istituzioni, che in questo caso non è venuto meno. I dispositivi di soccorso funzionano bene. A Perugia la chiesa valdese dispone di una piccola foresteria che può ospitare fino a tre/quattro persone. Se ce ne sarà bisogno la metteremo a disposizione. Per il resto cerchiamo di monitorare attentamente la situazione: in chiesa arrivano notizie personali e richieste di colloqui quotidianamente ormai da domenica a oggi».
Quindi le comunità riescono a unire anche dal punto di vista sociale?
«Sì: infatti per certi versi è stato un momento in cui le due comunità si sono particolarmente unite tra loro e rinsaldate al tessuto locale del proprio paese. Un momento difficile, ma è incoraggiante che intorno a questa precarietà stia crescendo il senso comunitario. Ricevo richieste di colloquio ma anche offerte di persone che si mettono a disposizione per ospitare o inviare ciò che occorre, anche da altri fratelli e sorelle da altre parti d'Italia».
Qualche giorno fa un giornalista ha messo insieme una mancata presenza del papa nelle zone terremotate e l'incontro con la chiesa Luterana in Svezia: a parte i voli pindarici, che ne pensa?
«Un commento che ci dice tante cose: sull'importanza storica dell'incontro ha già scritto il moderatore Bernardini sul sito della chiesa valdese. Personalmente credo il papa abbia fatto molto bene ad andare in Svezia in questo momento, storico e importante. Per il collegamento con il terremoto vorrei sottolineare che noi non viviamo più nello stato pontificio, questi territori ne facevano parte: il mio capo di Stato è il Presidente della Repubblica, la persona di riferimento per il governo è il presidente del Consiglio - che in questi giorni sono stati molto vicini. Parlando del mio ministero pastorale sul territorio, il mio interlocutore non è il papa, ma i vescovi cattolici di Perugia e Terni, che anche in questi momenti si sono dimostrati all'altezza della situazione con grande vicinanza alle persone colpite e sfollate. Credo che sia un esempio di vera e propria laicità da una parte, e poi di collaborazione nel servizio al prossimo.