Almeno tre generazioni di polacchi si sono nutrite dell’arte cinematografica di Andrzej Wajda morto a Varsavia il 9 ottobre scorso. Classe 1926, Wajda esordì nel 1955 con il film intitolato appunto Generazione, un’amara resa dei conti dei suoi coetanei con la guerra e con la retorica militare pseudo-patriottica. Seguendo lo stesso solco Wajda girò altri due film destinati a diventare dei veri capolavori: I dannati di Varsavia (1956) e Cenere e diamanti (1958).
Nel 1977 uscì nelle sale la pellicola L’uomo di marmo. Fu una sorta di segnale per coloro che, nati a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, si stavano affacciando alla vita adulta. Il film di Wajda distrusse definitivamente il mito di un’esistenza dedicata esclusivamente al lavoro massacrante e sovraumano inteso come unico mezzo con il quale l’individuo può contribuire al progresso della collettività. Infatti pochi anni dopo, nel 1980 la Polonia venne sommersa da un’ondata di scioperi senza precedenti. Due intere generazioni si unirono in una catena di solidarietà per un’esistenza più dignitosa e libera dalla schiavitù di un lavoro massacrante e mal retribuito. Wajda racconterà questi eventi in L’uomo di ferro (1981), dedicato esplicitamente a Lech Walesa. Il rapporto di Wajda con il leader di Solidarnosc è un esempio di grande coerenza morale. Negli anni Novanta quest’amicizia gli valse la nomina a senatore della Repubblica, ma Wajda rimase fedele a Walesa anche negli anni 2010-2013, quando l’ex-presidente della Repubblica Polacca si trovò bersagliato da una potente macchina del fango. Lo testimonia uno dei suoi ultimi film Walesa. L’uomo della speranza.
Negli anni 1982-1989 il governo militare di Varsavia cercò di isolare Wajda, togliendogli i fondi per la produzione. Allora si fecero avanti i governi di altri paesi e così nel 1983 il regista ritornò nelle sale europee con il suo magnifico Danton (1983) interpretato da Gérard Depardieu e poi nel 1988 con la trasposizione cinematografica de I demoni di Dostoevskij.
Gli ultimi anni della carriera di Wajda sono stati segnati da un tentativo – abbastanza riuscito – di trasformare il suo cinema, inizialmente fortemente metaforico e metafisico con punte tragiche molto marcate, in uno strumento educativo di matrice epica, pensando soprattutto alle generazioni nate dopo 1989: Pan Tadeusz del 1998, tratto da un grande classico della letteratura polacca, e poi Katyn del 2007, dedicato a uno degli episodi più oscuri della storia polacca, per anni tenuto nascosto dal regime comunista.
Infaticabile, pur avendo conquistato fama mondiale sia con la Palma d’oro al Festival di Cannes sia con l’Oscar alla carriera, a differenza di molti dei suoi illustri colleghi (da Roman Polanski a Jerzy Skolimovski), Wajda non ha mai lasciato la patria; fino alla sua ultima produzione Powidoki (2016) ha continuato a girare i suoi film in Polonia e in polacco, lasciando un’eredità artistica che sicuramente produrrà i suoi frutti ancora per lunghi anni.