Nelle chiese di Catania c'è una lunga tradizione di accoglienza. Già negli anni '80 del Novecento, con l'ondata di arrivi dall'Eritrea: «ricordo un gruppo di eritrei copti che, una volta in Italia, si sono appoggiati alla chiesa battista dove mio padre era pastore», racconta Silvia Rapisarda, oggi pastora sia della chiesa valdese di via Naumachia che di quella battista di via Capuana.
«Da quell'esperienza è nata una scuola di italiano, che aveva sede nei locali valdesi di via Cantarella – continua Rapisarda – I corsi si sono interrotti con l'integrazione della comunità eritrea in città, ormai siamo alla seconda generazione nata qui. In via Naumachia i valdesi hanno poi ospitato un gruppo di africani». Le scale che conducono alla casa pastorale portano le foto e i nomi dei pastori che dalla seconda metà dell'ottocento in poi hanno servito qui la chiesa valdese.
La chiesa battista sta invece alle spalle dal mercato di piazza Carlo Alberto, cuore multietnico della città, quindi luogo d'elezione per il mondo battista, fra le sterminate bancarelle della fiera, tappa obbligata per chi vuole vivere i suoni e gli odori di Catania.
Oggi a fare lezioni di lingua ai nuovi migranti ci pensa “Catania insieme”, un'associazione nata in casa protestante e ospitata in chiesa battista ma che coinvolge anche molte persone che non sono della comunità. Organizzano iniziative culturali e di integrazione, gite per le scuole e serate sociali per conoscersi e per quello che la pastora chiama una «contaminazione reciproca». L'associazione coinvolge molti asiatici, bengalesi, nordafricani, cinesi: succede anche che alcuni comincino a frequentare il culto e le attività ecclesiastiche.
Come ovunque, anche qui i più vulnerabili sono i minori: «Siamo entrati in contatto con i ragazzini del centro di prima accoglienza nell'aprile del 2015 – dice la pastora – la situazione è sempre la stessa: vivono in strutture o case famiglia spesso sovraffollate e inadeguate alle loro esigenze; per questo insieme alla chiesa luterana abbiamo cominciato a occuparci di loro, organizzando cene e momenti di incontro». Hanno essenzialmente bisogno di accompagnamento umano, di qualcuno che li sostenga, che li aiuti ad orientarsi. Quasi nessuno vuole fermarsi in Sicilia; quando finalmente hanno i documenti in tasca preferiscono proseguire il viaggio verso il nord, andare a lavorare in Germania.
«Li aiutiamo quindi a comprare i biglietti, le valigie, e poi restiamo in contatto con loro. Si crea un legame fortissimo in così breve tempo che pare naturale continuare a sentirsi, per capire se il loro cammino prosegue», aggiunge la pastora.
Il dramma è che, se va bene, per questi ragazzi e ragazze si fa accoglienza ma non si costruiscono dei percorsi duraturi: niente opportunità lavorative sul medio-lungo periodo, niente borse di studio per i più meritevoli, e quindi non è raro che una volta diventati maggiorenni si trovino in mezzo alla strada.
«Insieme ai luterani abbiamo deciso di affittare un appartamento che inaugureremo il 17 ottobre– spiega ancora Rapisarda – una casa con 8-12 posti, destinati a chi mostra il desiderio di studiare e inserirsi sul nostro territorio. Cercheremo di fare formazione al lavoro, creando una rete di “mastri di bottega” disponibili a insegnare loro dei mestieri, oltre a fornire assistenza e accompagnamento medico-legale».
Intanto sta decollando "La città invisibile", un progetto Arci a cui collabora anche Catania Insieme: sono gli stessi migranti chiamati a preparare le mappe per un loro personale percorso turistico della città all'interno di un più ampio stage relativo alla comprensione e alla conoscenza del territorio in cui i ragazzi si trovano a vivere. E saranno loro stessi a fare da guida ai visitatori interessati a un tour storico e sociale assai interessante, che vedrà fra le mete anche la chiesa valdese di via Naumachia.
Chiesa che sorge nel quartiere più popoloso e più antico di Catania, San Cristoforo, un dedalo di strade e vecchi palazzi incombenti, un senso generale di disfacimento in una zona che regala scorci meravigliosi e inattesi, traditi da tanta incuria, a due passi dal centro, dalla cattedrale, dal municipio. Altissimi qui il tasso di disoccupazione e il livello di povertà, brodo di coltura ideale per il cancro mafioso, che ha fatto di queste vie una delle vie principali dello spaccio di stupefacenti dell'intera area etnea. Qui è nato Benedetto "Nitto" Santapaola, uno dei maggiori capi mafia degli anni '80 e '90, condannato all'ergastolo fra l'altro per la strage di Capaci e per la morte del giornalista Giuseppe Fava. Ma qui operano anche moltissime associazioni, religiose e laiche, sociali, culturali che sono l'anima bella del quartiere, con molti giovani coinvolti, speranza per un futuro da disegnare con altri colori.
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