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Riforma.it ha già riferito nei giorni scorsi sulle prime reazioni all’approvazione della legge regionale della Liguria che stabilisce norme restrittive sulla creazione o ristrutturazione di locali destinati a uso religioso (non solo di culto).

In proposito registriamo una presa di posizione del Concistoro della chiesa valdese di Genova, redatto il 29 settembre:

«Il Concistoro della Chiesa evangelica valdese di Genova – via Assarotti, preso atto che il Consiglio regionale della Regione Liguria nella seduta del 27 settembre 2016 ha approvato il progetto di legge n. 42/2016, già deliberato a maggioranza dalla IV Commissione consiliare nella seduta del 19 settembre 2016, di “Disciplina urbanistica dei servizi religiosi”, esprime la propria preoccupazione considerandolo:

– un’ingerenza nell’ambito del potere legislativo nazionale in materia religiosa, non essendo ancora stata approvata una legge nazionale che permetta la piena applicazione della “libertà di culto” prevista dalla Carta Costituzionale, non essendo in questo senso risolutiva la legge sulle Intese;

– un atto teso a limitare la libertà di culto sancita invece dalla Carta Costituzionale (art. 19);

– un motivo di ulteriore giustificazione di quella paura dell’altro, del diverso, che purtroppo offusca la mente ed i sentimenti di una parte della popolazione.

Il Concistoro ribadisce che ogni credente deve poter esprimere la fede nelle modalità proprie di quel culto religioso e, pur nella consapevolezza che occorre oggi garantire “la sicurezza collettiva”, richiama l’attenzione di tutti a tenere distinte le modalità con cui provvedere alla gestione della sicurezza dalla libertà di pensiero e di fede.»

Sulle norme approvate dal Consiglio regionale della Liguria Riforma.it ha poi raccolto il parere dell’avv. Paolo Musso, presidente del Concistoro della chiesa luterana di Genova.

I problemi cominciano subito, con l’articolo 2, che estendono i vincoli non solo ai locali di culto ma anche ai centri culturali e affini: è così?

«Le modifiche all’art. 2 prevedono l’equiparazione di immobili ospitanti centri culturali di matrice religiosa alle attrezzature di interesse comune di tipo religioso, da sottoporre quindi alla presente legge. La precedente formulazione del testo già comprendeva gli immobili destinati, nell’ambito del ministero pastorale ad attività educative e culturali. Con questa norma si includono anche quelle attività culturali estranee all’attività pastorale in senso stretto: pertanto da oggi librerie come la Casa della Bibbia o centri della editrice Claudiana o delle Edizioni San Paolo, che non sono soggette ad attività pastorale ma esercitano sicuramente attività culturale di matrice religiosa (conferenze, presentazioni di libri o autori e quant’altro) al di fuori di un’attività pastorale in senso stretto, che intendano aprire o trasferirsi o ampliarsi, dovrebbero assumersi una serie di oneri davvero pesanti».

Un punto particolarmente grave è la possibilità che vengano raccolti dei pareri in merito alla possibilità di creare dei centri di aggregazione religiosa: che cosa significa?

«La legge precedentemente in vigore prevedeva che le localizzazioni delle aree di interesse fossero effettuate sentiti i pareri delle competenti autorità religiose. Da oggi i progetti per la realizzazione di attrezzature di tipo religioso (luoghi di culto, librerie, centri culturali, o Pastorati) sono localizzati sentito il parere non vincolante di organizzazioni e comitati di cittadini. Quindi non meglio specificate “organizzazioni” o “comitati di cittadini” possono essere sentiti in merito all’opportunità dei nuovi insediamenti religiosi. Ma il diritto costituzionalmente garantito della libertà di culto o alla libera associazione (Artt. 3, 8, 17, 18, 19, 20) non può essere compresso dal capriccio di soggetti terzi (se non per ragioni di ordine pubblico e buon costume).

Non solo: i Comuni avrebbero poi la facoltà di indire referendum per conoscere l’orientamento della popolazione interessata, del quale si invita a tener conto: anche qui valgono le stesse ragioni costituzionali di cui sopra: l’esercizio di fatto della libertà di culto non può essere compressa dalla comunità locale. L’art. 117 della Costituzione riserva alla Repubblica e non alle Regioni né tanto meno alle Comunità locali le decisioni in materia di libertà religiosa. Il riferimento a criteri urbanistici appare di tutta evidenza strumentale. Chi intenda realizzare le opere dovrà presentare istanza indicando tra l’altro:

1) le opere di urbanizzazione adeguate che, se assenti o inadeguate, vanno eseguite o adeguate con oneri a proprio carico; è questo un criterio molto vago: la proposta non distingue fra opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Questo significa che la confessione che volesse stabilirsi in una zona carente di parcheggi (quasi ovunque), fognature (dove per esempio si usino le fosse biologiche), o reti di gas per uso domestico (perché magari in quella zona si usano le bombole) o la pubblica illuminazione (zone di campagna) o spazi di verde attrezzato (quasi ovunque), si vedrebbe costretta a provvedere essa stessa. Ma, ancora peggio, questa procedura varrebbe laddove queste strutture vengano ritenute inadeguate (anche qui si pensi a parcheggi o verde pubblico), anche se nessuno se ne fosse accorto fino al giorno prima.

2) il rispetto delle distanze minime tra aree ed edifici di diverse confessioni religiose: non si comprende la ratio legis di stabilire distanze minime fra confessioni, in virtù di normative non ancora nemmeno concepite, peraltro. È evidente la volontà di creare ulteriori problemi nella consapevolezza della penuria di aree idonee con i pretesi requisiti.

3) la realizzazione di adeguati servizi igienici anche per disabili;

4) la congruità architettonica e dimensionale degli edifici di culto previsti con le caratteristiche generali e peculiari del paesaggio ligure: nulla quaestio sulla congruità architettonica, ma la congruità dimensionale che cosa implica? Dopo tutti gli oneri imposti si pretenderebbe anche di imporre locali sottodimensionati rispetto alle esigenze? E per non urtare la sensibilità di chi?

5) la stipulazione della convenzione a fini urbanistici con il Comune interessato deve prevedere espressamente la possibilità di risoluzione o revoca in caso di accertamento del Comune di mancanze o attività non previste in convenzione: ma se, come previsto dalla Legge, le distanze minime vengono decise di anno in anno, chi si sognerebbe di affrontare ingenti investimenti il cui fine potrebbe non essere più ritenuto idoneo l’anno successivo o l’amministrazione successiva?

L’art. 4 stabilisce che non valga la retroattività della normativa per le strutture religiose esistenti all’entrata in vigore della legge: possiamo ritenercene soddisfatti?

«La normativa vorrebbe fotografare l’esistente ma non tiene conto che alcune Comunità sono in espansione e potrebbe sorgere l’esigenza di nuove “attrezzature” religiose anche per chi già esiste».

In definitiva, una legge pensata per mettere vincoli alla creazione di strutture religiose islamiche, ma che può avere effetti su tutte le confessioni religiose?

«Sì, qui finisce la nuova impostazione legislativa; un’impostazione che palesemente non tende a razionalizzare il contesto urbanistico, ma che sulla falsariga delle leggi lombarde e venete punta ad attribuire alla Regione facoltà legislative in materie che non le spettano. È probabile che le nostre Comunità non siano il target della Legge, ma è altrettanto vero che essa rappresenta un precedente molto pericoloso anche per il mondo evangelico, in particolare per quelle Comunità che sono in espansione. Speriamo nella Corte Costituzionale...».

Immagine: via pixabay.com

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