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Si chiama Parco Roja, ma il nome non deve trarre in inganno, non si tratta di un giardino ombroso contornato da eleganti pini marittimi. L’area destinata a campo temporaneo «di transito» per i migranti è una distesa di autobloccanti delimitata da una cancellata metallica compresa nel perimetro dello scalo ferroviario merci di Ventimiglia. Il luogo scelto dalle Istituzioni, uno scalo dismesso opportunamente lontano e invisibile dal centro della città e dal suo lungomare zeppo di turisti agostani, ci sembra una triste metafora, per contrasto, della situazione delle persone che giungono qui dopo essere approdate sulle coste italiane pochi giorni prima. Le merci valicano liberamente le frontiere, le persone no, almeno non queste.

Nel campo, gestito dalla Croce Rossa su mandato della Prefettura di Imperia, sono disponibili 360 posti suddivisi in moduli abitativi (container), che questa settimana sono diventati oltre 600 fra tende militari e brandine sistemate sul cemento, dopo che è arrivato l’ordine di evitare che le persone si assembrino fuori, come successo negli scorsi mesi, creando accampamenti informali. Un’ordinanza del Sindaco vieta anche la distribuzione di cibo fuori dal campo. Eritrei e sudanesi, ma non solo, soprattutto uomini, anche minori, giungono a Ventimiglia dopo un viaggio di mesi o anni e in Italia non vogliono restare. Germania, Svezia, in generale il Nord Europa… :queste le mete agognate dove hanno quasi sempre parenti o conoscenti, mete che il regolamento Dublino III impedisce loro di raggiungere.

Il campo non è previsto da alcuna normativa vigente, le persone dovrebbero starci sette giorni, prendere o lasciare. In realtà la durata di permanenza si allunga, non essendoci una vera e propria registrazione, o sovente si accorcia, quando le persone lasciano il campo per provare a superare il confine. «Quasi nessuno è interessato a richiedere la protezione internazionale nel nostro Paese – spiega Francesca Pisano, operatrice della Diaconia valdese che da luglio collabora con la Caritas di Ventimiglia e lavora quotidianamente dentro il Parco Roja –, vogliono andare a Nord passando dalla Francia. Molti ci riescono e pubblicano su Facebook la loro foto sotto la tour Eiffel». I passeur sono pronti: 150 Euro per portarti oltre frontiera nascosto in un furgone, oppure a piedi, come successo nelle scorse settimane, rischiando la vita nelle gallerie dell’autostrada.

Una nuova stretta è arrivata dopo che a inizio agosto è giunto l’ordine di «decomprimere» la situazione. Qualunque migrante fermato fuori dal campo, per strada o al suo arrivo in stazione a Ventimiglia, viene portato in commissariato per essere trasferito via pullman in altri centri. Non importa che sia adulto o minore non accompagnato. Le destinazioni più gettonate: la Sicilia, la Puglia o addirittura la Sardegna. Lo scopo è di dissuadere i migranti a riprovarci. Commenta Francesca Pisano: «Ci capita di reincontrare persone che sono state spostate a forza nel sud Italia e che si ripresentano a Ventimiglia qualche giorno dopo. Questo viaggio di andata e ritorno può ripetersi più volte».

La maggioranza ignora i propri diritti, la polizia non ha mediatori disponibili e spesso le persone vengono arrestate senza che poterne capirne il motivo. Daniela Zitarosa è la volontaria della Diaconia valdese incaricata di accogliere i migranti in arrivo con il treno: «Spieghiamo loro che possiamo accompagnarli al campo, che riceveranno una sistemazione e del cibo, ma molti preferiscono affidarsi ai passeur o dileguarsi, con il timore neanche troppo infondato di essere fermati dalla polizia». Gli operatori di Caritas e Diaconia si sono già confrontati con le forze dell’ordine che, nonostante un precedente accordo informale, non sempre sembrano apprezzare la loro presenza. Inoltre, molti migranti sono fermati prima, a Imperia o addirittura a Genova. «Abbiamo pensato di attivare questo servizio in stazione con lo scopo di informare i migranti – rileva Maurizio Marmo, direttore della Caritas diocesana – ma date le condizioni non è detto che lo manterremo».

La Caritas è una delle poche associazioni autorizzate a entrare al Parco Roja e grazie alla collaborazione con la Diaconia valdese offre ascolto e consulenza socio-legale due ore al giorno, servizio che altrimenti sarebbe assente. A Ventimiglia la Caritas è in prima linea fin dall’anno scorso e da quest’estate con l’allestimento del centro di accoglienza presso la Chiesa di Sant’Antonio alle Gianchette, che ha accolto anche mille persone per notte, ora ridimensionato dopo l’apertura del Parco Roja. Alle Gianchette oggi vengono accolte solo le famiglie e le donne con bambini, una settantina di persone in totale.

A Ventimiglia, come altrove, si mette in scena un inquietante «spettacolo della frontiera», dove in maniera evidente emergono le assurdità della normativa italiana ed europea che regola le migrazioni. Gli attori sul palcoscenico recitano la loro parte: le autorità francesi mostrano i muscoli; istituzioni e forze dell’ordine italiane cercano di gestire la situazione; il movimento no borders si ritaglia uno spazio di visibilità; le associazioni sopperiscono come possono alle mancanze del sistema; gli abitanti restano divisi fra intolleranza e solidarietà. I migranti sono quasi sempre spettatori inconsapevoli e muti. Come Diaconia valdese preferiamo esserci, con le chiese locali qui a Ventimiglia come nelle altre regioni italiane, dalla Sicilia al Piemonte, dalla Toscana alla Lombardia, in un tentativo di lavoro ecumenico basato sul «costruire consapevolezza» e sul «fare insieme».

Immagine: Massimo Gnone

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