Sì, tu sei la mia lampada, o Signore, e il Signore illumina le mie tenebre
II Samuele 22, 29
Gesù dice: «Io sono venuto come luce nel mondo, affinché chiunque crede in me, non rimanga nelle tenebre»
Giovanni 12, 46
Mi capita di svegliarmi molto presto la mattina, qualche ora prima che il sole sorga. Mi piace scrivere o leggere, mentre in casa tutto tace, e attendere che la stanza si illumini con i primi raggi di sole. Il miracolo della nuova luce, capace di scacciare le tenebre, si compie ogni mattina. Attendo con fiducia il sorgere del sole, sapendo che le tenebre non rimarranno a lungo. Mi piacerebbe avere la stessa fiducia nel mio cammino di fede: imparare ad attendere, nelle situazioni tenebrose della vita, che la luce divina mi rischiari, come lampada, per attraversare le difficoltà; e nella confusione, nello smarrimento, ritrovare chiarezza. In ogni situazione difficile, vorrei saper aspettare che il Signore illumini le mie tenebre, come all’inizio ha illuminato il mondo. Illuminare le tenebre è l’atto originario che Dio ha compiuto per chiamare alla vita. La fede non è altro che questo: venire alla luce per avere vita piena. E tuttavia, una fede che nega le tenebre, le situazioni di smarrimento, di paura, di abisso e dolore, può dare alla testa, come il sole estivo a mezzogiorno. Le tenebre della vita vanno riconosciute, poiché sono il dato di partenza in cui agisce Dio. Ma una volta riconosciute, le tenebre non vanno assolutizzate. Vi è un reale rischio, spirituale ed esistenziale, di voler rimanere nelle tenebre e con esse costruire la nostra identità di persone ciniche e pessimiste, malati che non vogliono guarire. Ci si può innamorare del proprio dolore fino a costruire intorno ad esso un altare. Le tenebre dell’esistenza vanno riconosciute ma non per rimanervi, piuttosto per lasciarci sorprendere da quella luce che è in grado di diradarle, attraversandole insieme a noi.