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I due momenti centrali del gesto pasquale

Un giorno una parola – commento a Filippesi 3, 10-11

Il Signore annienterà per sempre la morte
Isaia 25, 8

Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti
Filippesi 3, 10-11


Il desiderio dell’apostolo Paolo è di conoscere Cristo e di vivere in totale comunione con la sua passione, morte e risurrezione. Paolo, però, qui parte dalla risurrezione. Dal momento che Cristo è risorto dai morti, una nuova vita è possibile per coloro che credono in lui, “divenendo conforme a lui nella sua morte”. Non si tratta solo di “predicare Cristo crocifisso”, ma anche di portare “nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (II Corinzi 4, 10).

Siamo aiutati a comprendere il rapporto tra i due momenti centrali del gesto pasquale, cioè la morte e la risurrezione. La seconda supera la prima senza cancellarla, portando a compimento la vita già presente nella morte. La luce della risurrezione di Cristo non fa scomparire la croce, ma aiuta il credente a capire tutta la potenza di vita e di amore che da essa si sprigiona.
Se trascuriamo questo legame così intimo, andiamo incontro a delusioni devastanti nel nostro percorso di fede. La gioia della “mattina di Pasqua” deve fare i conti con la realtà nella quale i credenti si ritrovano, dove sembra che nulla sia cambiato. Continuano, infatti, a sussistere intorno a noi la malattia, la morte, la violenza, le guerre e le ingiustizie sociali.
La risurrezione non elimina immediatamente questa realtà, ma ci dice che se Cristo è vivo nella gloria dell’eterno Padre, se è vivo in mezzo a noi e in noi, tutto questo non ci impedisce di amare. E chi vive nell’amore, anche di fronte alla sofferenza e alla morte, non è abbandonato da Dio, ma accolto e condotto verso la pienezza della vita.

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