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La morte di Gesù sulla croce

Un giorno una parola – commento a I Giovanni 2, 2

Toglierò via l’iniquità di questo paese in un solo giorno
Zaccaria 3, 9

Gesù Cristo è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo
I Giovanni 2, 2


L’universo religioso in cui si muovevano gli antichi si fondava sui sacrifici: animali e vegetali venivano offerti alle divinità come forma di ringraziamento, di richiesta di perdono, per ingraziarseli (forse anche per causare danno a qualcun altro). È questo l’immaginario per le relazioni tra l’umanità e Dio, anche secondo la Bibbia. Vi era però una gradazione di sacrifici, a seconda delle necessità: ragionando in modo moderno (e anche irriverente) potremmo dire che a un “piccolo evento” corrispondeva un “modesto sacrificio” e così via in crescendo. Il “sacrificio propiziatorio” a cui fa riferimento il nostro testo era il sacrificio supremo, quello che voleva rappacificare il popolo con Dio e che implicava la morte dell’animale sacrificato, secondo un complesso rituale, ricco di simbologia, descritto per es. nel capitolo 16 del libro del Levitico e dal profeta Ezechiele 44, 27. Però la prima lettera di Giovanni va oltre. Pur condividendo il quadro di riferimento generale sul ruolo dei sacrifici nella salvezza da un lato, li fissa in un evento specifico, decisivo, irripetibile. Il sacrificio di cui parla l’Antico Testamento si ripeteva di anno in anno, quello di Gesù è stato una volta per tutte. In secondo luogo, allarga la platea: non più solo gli appartenenti a un gruppo circoscritto ne traggono beneficio, ma tutto il mondo. Questa la parola “mondo” è particolarmente interessante perché non è neutrale, ma ha spesso un significato un po’ negativo nel pensiero dei primi cristiani. Eppure, Gesù è morto sulla croce perché tutte, tutti fossero riconciliati con Dio, anche chi non era affatto ben disposto nei suoi confronti.