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Chiamate e chiamati a testimoniare ciò che abbiamo ricevuto

Un giorno una parola – commento a Matteo 10, 27

O paese, o paese, o paese, ascolta la parola del Signore!
Geremia 22, 29

Quello che udite dettovi all’orecchio, predicatelo sui tetti
Matteo 10, 27


Apparentemente il versetto di oggi sembrerebbe un’istigazione al gossip o, per chi non ama gli anglicismi nella nostra lingua, al buon vecchio pettegolezzo. La sincerità è un gran pregio, ma sappiamo bene che essere sinceri significa affermare solo ciò che si sa o si ritiene essere vero, non necessariamente dire tutto ciò che conosciamo, perché in molte occasioni il silenzio è una migliore opzione.

In realtà Gesù ricorda in modo molto radicale alla comunità dei suoi discepoli e dunque alla chiesa, cioè a noi, discepoli e discepole di oggi, che c’è un compito che dà senso alla sua stessa esistenza: la testimonianza.
La testimonianza nasce dall’ascolto: non raccontiamo nulla di nostro, ma riferiamo ciò che ci è stato affidato; in effetti non abbiamo una speranza da offrire se non quella, stupenda, che è stata data a noi; non possiamo testimoniare attraverso il nostro amore se dimentichiamo di quale amore siamo stati amati per primi.

La testimonianza, poi, non serve a creare un circolo privato, un club di pochi eletti; le chiese hanno l’umanissima tendenza a rivolgersi innanzi tutto a chi sentono più simili a loro, ma il comando di gridare dai tetti rammenta che non ci è dato di scegliere i nostri interlocutori. D’altra parte, anche noi siamo prima di tutto uomini e donne che hanno ricevuto da fratelli e sorelle la testimonianza dell’Evangelo; siamo proprio sicuri che, secondo criteri umani saremmo proprio stati gli ascoltatori ideali, le persone a cui era più vantaggioso rivolgersi?

Infine, la testimonianza è ciò che ci ricorda che la nostra fede comporta una responsabilità; essa nasce sì dall’ascolto, ma non può fare a meno di parlare: nessuno di noi può pensare di delegare ad altri questo compito, altrimenti rendiamo vano il nostro aver ascoltato.

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