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Chiamate e chiamati ad avere fiducia

Un giorno una parola – commento a I Re 8, 57

Il Signore, il nostro Dio, sia con noi, come fu con i nostri padri; non ci lasci e non ci abbandoni
I Re 8, 57

Il Signore diriga i vostri cuori all’amore di Dio e alla paziente attesa di Cristo
II Tessalonicesi 3, 5


Eccolo, alla fine è compiuto il meraviglioso tempio di Gerusalemme. È proprio lì, davanti agli occhi del popolo che si è senz’altro impegnato con le tasse e con il lavoro più o meno volontario affinché il Dio dei patriarchi e di Mosè avesse finalmente una casa sontuosa e degna del suo Nome. E il buon re Salomone, colui al quale Dio ha finalmente dato l’autorizzazione per costruire il Tempio, pronuncia queste parole nel discorso di consacrazione dell’edificio e di benedizione del popolo. È un discorso lungo e articolato, come si conviene per l’occasione speciale, che ripercorre la storia di un rapporto fra Dio e il popolo che si è scelto, rapporto non sempre facile, ma dal quale Dio ha scelto di non ritirarsi.

In questo momento così solenne, Salomone pronuncia anche le parole del versetto di oggi, parole che di solenne e di grandioso non hanno proprio nulla e che anzi riportano ad aspetti molto personali e quotidiani della propria vita di fede. Qui non c’è più il re, non c’è il sacerdote, non c’è il semplice popolano, ma il credente e la credente al cospetto del suo Dio.

Il credente e la credente guardano indietro e confessano che il proprio cammino è sempre stato un cammino con il Signore; non con un Dio sconosciuto, ma con Colui che si è già rivelato a coloro che ci hanno preceduti, i quali ce ne hanno reso testimonianza.

A partire da questo, il credente e la credente guardano avanti con speranza; è una speranza che non è utopia, non è sogno ad occhi aperti perché si basa sulla fiducia. Può sperare perché si fida di quel Dio del cui amore e della cui fedeltà ha ricevuto testimonianza da chi l’ha preceduto, e ancor di più sperimenta personalmente questo amore e questa fedeltà ogni giorno della propria esistenza.