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Un giorno una parola – commento a Ezechiele 33, 11

Convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie! Perché morireste, o casa d’Israele?
Ezechiele 33, 11

E non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno
Matteo 6, 13


I profeti hanno prestato la loro voce all’amore di Dio. Questo reiterato invito alla conversione da parte di Ezechiele non è un invito alla sottomissione ad un Dio che vuole essere ubbidito ad ogni costo. È il grido di un Padre che si rende conto che la rotta intrapresa da suo figlio lo porterà a schiantarsi sugli scogli del peccato, e quel figlio, oltre alla vita fisica, perderà anche quella pace eterna che gli assicura il poter stare alla presenza del padre.

Quel grido è un salvagente lanciato ad una umanità che ormai ignora completamente di essere al centro del progetto di salvezza di Dio. È un S.O.S. per una umanità che ignora quanto il Padre la ami.
Muore per ignoranza del pensiero di Dio (cf Os 4,6), un’ignoranza che sistematicamente lo allontana dallo scopo per cui è stata creata: amare ed essere amata.

Muore perché ignora che la volontà di Dio è «che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità», quella verità che è Verità che fa liberi (v. Gv. 8, 32), quella Verità che è Cristo Gesù stesso (Gv 14, 6).
Ancora oggi, nel suo cieco egoistico egocentrismo, l’umanità rifiuta l’offerta d’amore di Dio: il Cristo, il Vivente, e reiterando all’infinito tale rifiuto, come quella mandria di porci, corre verso un dirupo che porta alla morte fisica e spirituale. Di qui l’interrogativo profetico: «Perché moriresti o popolo mio?».

Siamo dinanzi ad un inquietante interrogativo: nel vivere un’esistenza breve come quella dell’uomo, ha più senso vivere (nel peccato) per morire o è meglio morire (al peccato) per vivere?

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