L’adolescente sessualità
09 febbraio 2023
Genitorialità, scuola, contraccezione, educazione sessuale, malattie trasmissibili, web e pornografia nell’adolescenza. Ne parliamo con Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva
«Di chi è questo? Allora? – chiede un austero professore entrando in aula e scorgendo un preservativo rimasto a terra –. È mio – risponde timido lo studente. In aiuto si alza un compagno che gli fa eco: “È mio”. Poi una studentessa: “è mio”. La compagna di banco si alza dalla sedia e dice “è mio”. Poi, è un susseguirsi di paternità e maternità di quel preservativo, l’intera classe di allievi ripete: “è mio; è mio; è mio… è mio…”». Questo spot televisivo, trasmesso nel 1992, è stato girato all’interno della Facoltà valdese di Teologia di Roma perché – così narra la leggenda – all’epoca «non si riusciva a trovare un’aula statale disponibile a ospitare la pubblicità»: il tema era un vero tabù. Oggi, quest’offerta commerciale sarebbe percepita come una buona pratica, un buon esempio di pubblicità (progresso) dal momento che le infezioni da Hiv, e la malattia Aids, non sono solo storia, ma realtà.
Quello spot lanciò a livello nazionale un tema dirimente: la prevenzione contro le malattie sessualmente trasmissibili; imponendo di fatto al centro la riflessione sull’educazione sessuale. Tuttavia il virus non è mai scomparso e contagia soprattutto le giovani generazioni. Non è più mortale (in Occidente), ma condanna chi lo contrae a cure quotidiane e per la vita intera.
Perché ricordiamo lo spot del 1992?
Perché la Regione Lazio da qualche settimana ha deciso di distribuire gratuitamente la pillola anticoncezionale “del giorno dopo” alle ragazze di 15-19 anni.
Dunque, ci siamo chiesti come si siano sviluppate negli anni le politiche dedicate all’educazione sessuale; ci siamo chiesti (soprattutto con l’avvento delle nuove tecnologie) quanto in famiglia e nelle scuole, si affronti il tema e se davvero i giovani oggi riflettano sulla possibilità di poter incrociare, nel loro percorso di vita sessuale, malattie trasmissibili.
«Ci sono alcune “applicazioni - App” presenti nei telefoni cellulari dei nostri figli di cui, noi adulti, genitori, decidiamo consapevolmente di occuparci direttamente, presidiando la navigazione online», rileva Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, ricercatore di Scienze bio-mediche dell’Università di Milano e autore di numerosi saggi. L’ultimo: Ragazzo Mio – Lettera agli uomini veri di domani (Deagostini).
«Ci sono altre Applicazioni – prosegue Pellai –, che consideriamo impegnative e probabilmente imbarazzanti. Noi genitori, per primi, abbiamo attraversato nell’infanzia un deserto educativo sul versante sessualità; non abbiamo né memoria, né dimestichezza, non avendo ricevuto gli strumenti necessari per intervenire in modo adeguato nel processo educativo dei nostri figli e delle nostre figlie. Approccio al tema, che talvolta siamo costretti a inventare o a improvvisare. La sessualità pervade la vita degli adolescenti e dei ragazzi, le innovazioni tecnologiche e le App agevolano la circolazione di immagini e di contenuti, che riempiono il web proponendo un flusso continuo di stimoli e di contenuti sessuali. Dunque, gli psicoterapeuti si confrontano regolarmente con genitori impegnati a gestire situazioni difficili. Anche la scelta di rendere disponibile la “pillola del giorno dopo” impone oggi interventi articolati e un approccio olistico».
Come possono i genitori a elaborare un percorso idoneo in un momento delicato e complesso come questo?
«Non è facile. Questa società iper-connessa pervade gli adolescenti di continui e di stimoli sessuali; che li permea profondamente. Un fatto nuovo per noi adulti, rispetto al quale non sappiamo dare risposte adeguate o stabilire limiti e confini.
Questa sensazione assordante d’inadeguatezza che viviamo ci pone di fronte a molte domande.
Incontro genitori che chiedono aiuto proprio perché ai figli sono successi fatti problematici, oppure perché hanno attraversato esperienze rischiose sul web, e proprio in tema sessualità. I genitori chiedono consulenza per il fatto di essersi ritrovati in un territorio sconosciuto e nel quale invece i giovani quotidianamente vivono, talvolta non senza problemi. Altresì, riscontro la fatica che le scuole vivono per introdurre l’argomento “sessualità” all’interno dei percorsi educativi e formativi dei propri studenti: alcuni genitori se ne dissociano perché vedono quest’approccio come un intralcio al loro progetto educativo. Dunque è necessario trovare una zona di equilibrio tra le parti».
Anche i nostri genitori auspicavano che l’argomento sessualità affiorasse all’interno della scuola o quantomeno che questo fosse introdotto da compagni “più svegli”, per non doverlo affrontare loro in famiglia…
«Il paradosso è proprio questo, anche noi come i nostri genitori siamo spesso privi di parole giuste da dire ai nostri figli, spesso siamo inadeguati. Con una differenza però allarmante, rispetto a ciò che accadeva ieri: i nostri figli sono immersi in un ambiente connotato da una sessualizzazione estrema e da una pornografia violenta che pervade la loro esistenza. I maschi tra gli 11 e i 13 anni navigano regolarmente su siti pornografici, dove le immagini sono il più delle volte violente e dove si presenta una sessualità molto lontana dal principio di realtà, ossia da quella che poi gli stessi sarebbero chiamati a mettere in atto nelle relazioni intime. E, dentro a questa iper-stimolazione di contenuti paradossali, i ragazzi finiscono per ritrovarsi soli. La domanda è la seguente: come potranno comportarsi quando si troveranno di fronte a una relazione intima e da connotare sessualmente dopo ciò che hanno appreso sul web? Ricordo che i nostri figli, con soli tre “clic” e nella zona più sicura della loro vita, la loro cameretta, possono entrare in un mondo fatto di pornografia e di violenza».
Che cosa annota professor Pellai, dopo le sue sedute nel taccuino?
«Un dato ricorrente, i genitori sono spaventati quando decidono di entrare fra le “pagine” dei telefoni cellulari dei loro figli. Incontro genitori che dopo aver visto le immagini e le fotografie che i bambini conservano o che consultano, rimangono scioccati. Si tratta di video con scene aspre, aggressive, talvolta penalmente perseguibili. Solo in quel momento i genitori si rendono conto davvero della distanza che intercorre tra loro e i loro figli. La politica a mio avviso dovrebbe prendere atto di ciò che sta accadendo nella vita di tanti bambini e giovani e dovrebbe intervenire su scala globale, assumendosi la piena responsabilità di rendere inaccessibili, almeno al mondo minorile, quella mole di materiale che è lesivo».
Molti genitori sentono responsabili e in colpa quando un figlio o una figlia «incappa» in situazioni difficili. Che cosa si può dire loro?
«Che noi genitori non viviamo dentro gli smartphone dei nostri figli. Possiamo dare indicazioni, porre dei limiti: la verità è che non dovrebbe esserci un mondo che continua a bombardare gli adolescenti, in una fase delicata della loro crescita, con “il peggio del peggio”. Dovrebbe esserci una barriera etica a impedirlo. La politica dovrebbe garantire a bambini e bambine gli strumenti necessari per affrontare la complessità del web, non avendo questi ultimi né competenze specifiche né capacità auto-regolative. Dovrebbe far comprendere loro che la sessualità non è solo eccitazione, ma è un percorso profondo d’intimità, di relazione, di amore».