Adolescenti e smartphone
14 dicembre 2022
L’abuso dei cellulari è sempre intrecciato con altre sofferenze che riguardano le relazioni interpersonali e trasgenerazionali. Vivere il “gruppo” favorisce la disintossicazione. Intervista a Piero La Monica
Secondo l’Istat, l’85% degli adolescenti tra gli 11 e i 17 anni usa quotidianamente il telefonino; il 72% naviga su internet tutti i giorni, con una media dalle tre alle sei ore di connessione al giorno. Il rischio di sviluppare una dipendenza è alto. Ne parliamo con Piero la Monica, psicologo e psicoterapeuta presso il Centro Diaconale “La Noce” – Istituto Valdese di Palermo che è capofila del progetto In-Dipendenze, sostenuto dalla Fondazione con il Sud, che sperimenta un modello territoriale di prevenzione e presa in carico dedicato a minori che presentano disturbi da dipendenza da internet o dovuti all’uso eccessivo dei dispositivi tecnologici.
Quali atteggiamenti fanno capire di essere di fronte ad una persona che è dipendente da internet?
«Quando ci approcciamo ad una valutazione diagnostica, è chiaro che la nostra attenzione deve essere più ampia, non ristretta al tema della dipendenza ma alle varie sfumature che possono essere attive nel ragazzo, perché spesso occorre parlare non di dipendenza ma di abuso dei dispositivi elettronici. Una dipendenza è caratterizzata da un eccessivo e cronico utilizzo del dispositivo, in assenza del quale si attivano i cosiddetti fenomeni di astinenza, che nel comportamento di un ragazzo si esprimono con maggiore suscettibilità, irritabilità, nervosismo, aggressività, discontrollo degli impulsi, alterazione del ritmo veglia-sonno, intolleranza alla frustrazione, all’attesa, e alla sospensione di quell’attività».
Quali elementi innescano tale dipendenza?
«Sono i più svariati, e non dobbiamo incorrere nell’errore di decodificare a priori quelli che sono i segni del disturbo perché le cause che scatenano la dipendenza non sono delle invarianti che si riscontrano in qualsiasi storia di ragazzo, ma sono specifiche e hanno dei significati psicopatologici molto personalizzati. Sicuramente però, possiamo dire che gli elementi che conducono alla dipendenza sono delle condizioni di disagio che si trovano all’interno o all’esterno del funzionamento mentale di un ragazzo, che non consentono una continua autoregolazione di propri stati emotivi, affettivi e relazionali».
Nell’ambito del progetto In-Dipendenze è stato attivato Spazio offline, un servizio ambulatoriale di cura e diagnosi rivolto ad adolescenti, aperto 3 volte a settimana e gestito da esperti psicoterapeuti. Quali bisogni esprimono i giovani che incontrate?
«Incontriamo una fetta di popolazione di ragazzi che usano internet e dispositivi non in modo così patologico come il mondo degli adulti è tendente ad evidenziare. Noi in realtà, in un approccio di relazione clinica, stiamo scoprendo delle dinamiche che non sono sempre del tutto di carattere patologico. Quindi c’è un ritorno interessante che ci sta sollecitando come clinici a riflettere su come considerare il rapporto con le attività online».
Può fare qualche esempio?
«Raramente incontriamo un caso puramente di dipendenza da smartphone. La maggior parte delle persone fa un uso problematico o un abuso dei cellulari che è sempre intrecciato con altre sofferenze che riguardano le relazioni interpersonali e trasgenerazionali. In genere si tratta di ragazzi in difficoltà a comunicare con gli adulti: poiché nello scambio comunicativo non ci si ascolta, non ci si comprende ma si rivendicano le posizioni personali, i ragazzi scelgono un contesto a loro più consono – l’online – dove si ritrovano con i coetanei con i quali, per effetto di rispecchiamento e di risonanze, c’è comprensione. Ciò che emerge nel corso del setting terapeutico è la difficoltà a comprendersi tra persone, quindi, vanno rivisti i nostri processi comunicativi e il nostro linguaggio, che vanno ad interferire sugli equilibri emozionali. Molto importante è che adulti e ragazzi siano competenti linguisticamente in modo che ci sia quello scambio di pensieri che possono essere divergenti ma non necessariamente conflittuali».
Molto, dunque, si gioca nella relazione intergenerazionale tra adulti e adolescenti?
«Assolutamente sì, tra l’altro noi adulti siamo meno competenti digitalmente e questo gioca a nostro sfavore perché, in questa area (la digitalizzazione, l’online) non siamo aggiornati, non abbiamo contenuti da trasmettere, da condividere con chi è in fase di crescita, quindi non ci sono modelli educativi su questo versante. A noi adulti è richiesto una sorta di aggiornamento del nostro sistema operativo interno: si tratta di aggiornare il computer datato, in modo che supporti il nuovo programma. Questa metafora ci fa capire forse meglio cosa occorre fare in modo che i giovani possano interfacciarsi, comunicare, condividere dei progetti con gli adulti».
Ma come si giunge ad un uso responsabile dei dispositivi elettronici?
«Parlerei piuttosto di un uso consapevole. L’uso responsabile è il prodotto finale di un processo che sta prima, che è quello della consapevolezza. Occorre chiedersi: l’uso che faccio del cellulare porta effetti nocivi o benefici a me e a chi mi sta intorno? L’uso che ne sto facendo è fonte di disagio o, al contrario, è fonte di crescita umana?».
Come ci si “disintossica” dall’uso eccessivo di dispositivi elettronici? Che percorso proponete ai ragazzi?
«Una delle condizioni per disintossicarsi è il gruppo, è creare condizioni in cui più ragazzi si incontrino nello stesso tempo e spazio, e condividano pensieri, emozioni, legami affettivi, tutto ciò che viene attraversato nelle singole menti, per farle confluire poi in una mente più ampia, “gruppale”, dove rispecchiarsi, guardando noi stessi nell’altro/a. Il gruppo ha la funzione di metabolizzare, di dare senso e significato, capacità contenitiva e trasformativa di tutte le difficoltà, le fatiche che nella vita del singolo ragazzo hanno un peso non indifferente. È nel gruppo che si riscopre di nuovo la bellezza di ridere insieme, di piangere, di arrabbiarsi, di perdonarsi, di digerire quei grumi emotivi che possono essere un’interrogazione andata male, un’incomprensione, una delusione d’amore».
L’importanza del gruppo ha risonanze molto forti con il ruolo che le comunità di fede hanno nel sostenere chi vive momenti di difficoltà, di incomprensione, di solitudine…
«Concordo, tant’è che nel nostro progetto in fase di stesura, abbiamo definito l’istituzione scuola come “comunità scolastica”: un insieme di persone, di attori plurali che fanno parte di una comunità in cui risuona forte il senso di appartenenza. È nella comunità che si esprime la funzione contenitiva, supportiva, trasformativa, e di accompagnamento: chi sta avanti non deve trainare chi sta indietro, si tratta di camminare uno accanto all’altro».