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Rosarno Film Festival, «osare inventare l’avvenire»

Grande successo per "Fuori dal ghetto", la prima edizione della rassegna di corti promossa nella Piana di Gioia Tauro 

Portare un festival cinematografico a Rosarno. E cambiare lo sguardo sui lavoratori braccianti. Sono due tra gli ambiziosi obiettivi di “Fuori dal ghetto”, la prima edizione del “Rosarno film festival” che si è appena conclusa nella Piana di Gioia Tauro, in Calabria. Un’iniziativa promossa da Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Fcei, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Sos Rosarno e Rete dei comuni solidali, con tante altre associazioni aderenti, ma soprattutto una rassegna nata dal basso, grazie all’aiuto di volontari e volontarie attivi sul territorio (ma anche da altre parti d’Italia). Quasi cinquanta persone la prima sera e almeno un centinaio nella seconda serata, sabato 15 ottobre, si sono date appuntamento all’auditorium di Rosarno.

Tra le proiezioni dei film, anche alcuni momenti di riflessione. Come il flash mob contro gli accordi tra Italia e Libia, a pochi giorni dalla data in cui, il 2 novembre, si rinnova il memorandum siglato cinque anni fa. O i cartelli dei nomi dei braccianti morti nella Piana di Gioia Tauro, che sono stati appiccicati dietro alcune sedie dai volontari e dalle volontarie, dai cittadini e dalle cittadine impegnati non solo per l’accoglienza e la solidarietà ma anche per chiedere verità e giustizia per chi è stato ucciso in questo territorio, morendo chi di fame, chi di freddo, chi in incidenti sulle strade buie, chi ammazzato a colpi di fucile.

Di giustizia hanno parlato anche i dieci i corti in concorso: dalla memoria dei cantieri navali di Palermo fino alle battaglie dei rider, dalle storie dei e delle braccianti morti alla precarietà, passando per i lavoratori e i racconti di vita vissuta da persone emigrate.

La giuria composta da quattro braccianti e da un ex bracciante – l’operatore e mediatore sociale di Mediterranean Hope Ibrahim Diabate – si è riunita e confrontata per tutta la notte, per poi decidere di aggiudicare il primo premio – una cassa di prodotti bio della cooperativa Sos Rosarno – al corto “La giornata” di Pippo Mezzapesa, sulla storia di Paola Clemente, bracciante pugliese morta di fatica nel 2015.

E la proclamazione del vincitore si è svolta in un luogo che nulla ha a che vedere con i lustrini di Cannes o Venezia ma che continua ad essere il luogo in cui abitano – in condizioni che definire precarie è un eufemismo – decine e d’inverno centinaia di persone, la tendopoli di San Ferdinando.

Ieri, infatti, per l’ultima serata ed iniziativa della rassegna, si è tenuto nel piazzale davanti al “ghetto” formale di San Ferdinando l’incontro pubblico con Blandine Sankara, sorella del leader burkinabè Thomas Sankara, ucciso esattamente in questi giorni, il 15 ottobre, di 35 anni fa, al quale ha preso parte anche un gruppo di lavoratori che abita nella tendopoli.

L’attivista e agroecologista militante ha ricordato l’importanza del concetto di sovranità alimentare, riflettendo sulle cause delle migrazioni e sulle conseguenze attuali del colonialismo e del post colonialismo.

Il bilancio della rassegna? Molto positivo per gli organizzatori. «Siamo riusciti a costruire questa prima iniziativa – spiega Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope a Rosarno – che ha evidenziato come il fare rete tra le associazioni del territorio stia producendo anche un livello culturale, attorno al tema del lavoro. Un modo per costruire una visione che era assente, in questa forma, nelle politiche dell’accoglienza in Italia: i migranti da "oggetto" diventano "soggetto" della narrativa. E vorremmo che il lavoro integri e non disintegri le persone. Questo nostro piccolo festival è un tentativo per denunciare lo sfruttamento». Particolarmente significativo, per Piobbichi, che il film premiato dai lavoratori braccianti sia stato un corto sulla storia di una donna bracciante, di una lavoratrice uccisa dallo sfruttamento. «C’è la necessità che questi mondi continuino a dialogare – aggiunge – di pratiche sociali e battaglie per i diritti, dai permessi di soggiorno fino all’emergenza abitativa e all’accoglienza degna e dignitosa, istanze cui proviamo a rispondere con l’ostello Dambe So, fino alla filiera etica che abbiamo realizzato con Sos Rosarno». Infine, «l’importante contributo» e sguardo globale di Blandine Sankara, che rappresenta «il racconto di quanto accade in altre terre, da dove partono le persone migranti, colonizzate e sfruttate da tanti, troppi anni».

I progetti di Mediterranean Hope nella Piana di Gioia Tauro sono in parte autofinanziati e in larga parte sostenuti dalle chiese protestanti italiane ed europee, in particolare con il contributo dell’Otto per mille valdese.

Qui sotto il corto “La giornata”, premiato dalla giuria del Rosarno Film Festival.

 

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