Mamme in bilico
13 maggio 2022
Un rapporto di Save The Children mostra le croniche difficoltà che caratterizzano la maternità in Italia
In corrispondenza con la Festa della Mamma, Save the Children ha pubblicato il rapporto Le Equilibriste, dedicato alla maternità in Italia e che, già dal titolo, suggerisce la precarietà cronica delle madri nel paese.
Su "Cominciamo Bene", trasmissione di RBE, abbiamo intervistato Antonella Inverno, responsabile Politiche Infanzia e Adolescenza Ita-Eu per la ong, toccando i vari macro-capitoli del documento. Si parte con una disamina del calo demografico in corso. «Nel 2021 i nuovi nati sono calati sotto la soglia dei 400 mila» ci racconta Inverno, sottolineando che è un dato tra i più bassi dall’Unità d’Italia e che, soltanto rispetto al 2008, «anno di boom delle nascite», c’è stato un calo del 31%. «La nostra piramide demografica ha cambiato forma, diventando piuttosto una trottola, con una diminuzione della popolazione giovanile e un aumento di quella anziana. Così si crea uno squilibrio che non potrà essere colmato nel breve tempo: andrà invertita la rotta, perché si va incontro a una crisi demografica».
A salire è anche l’età media del primo parto, ormai attorno ai 32 anni, mentre scende il numero di figli per madre, che è al di sotto del del tasso di ricambio generazionale. Inverno chiama questo fenomeno “deingiovanimento”: non è semplicemente una società che invecchia, ma un paese dal quale spariscono giovani e bambini.
Inverno sottolinea che i trend demografici «sono solo in parte influenzati dalle politiche: dipendono anche da decenni in cui abbiamo continuato a registrare cali nelle nascite, quindi abbiamo meno donne in età fertile». Ma riconosce che le decisioni della politica (o la loro mancanza) possono avere un grande impatto nel cambiare la situazione. «L’Italia non è un paese per mamme: di solito quando nasce un bambino le donne smettono di lavorare e gli uomini continuano a fare carriera». Lo mostra bene un dato, inquietante: le mamme lavoratrici sono circa una su due, mentre i padri che lavorano sono l’80%. La lista dei motivi è lunga. Inverno fa notare il gap salariale, che vede le donne guadagnare meno, a parità di mansione, fin dall’ingresso nel mondo del lavoro, un divario che si allarga ancora nel corso degli anni. Questo impatta la gestione della maternità, per la quale «di solito la donna lascia il lavoro perché rinuncia al salario più basso».
Le mancanze politiche si fanno sentire anche nell’ambito dei servizi educativi, come ad esempio la diffusione degli asili nido, per di più segnata da forti differenze territoriali. Sono stati fatti passi avanti, chiarisce Inverno, citando alcune delle misure recenti in merito, ma ancora insufficienti. «Dal nostro punto di vista si dovrebbe investire di più, mettendo in piedi politiche organiche che rafforzino una volta per tutte i servizi, non solo per la cura e la prima infanzia, ma che riguardino tutta l’infanzia e l’adolescenza».
Chiaramente ad aleggiare su tutte queste dinamiche è la mentalità, radicata, per cui l’impegno della cura dei bambini debba ricadere sulle mamme, dando anche per scontato che, nel loro caso, la carriera e l’indipendenza economiche siano meno importanti. Per Inverno, un modo per smuovere questa cultura «sarebbe un congedo di paternità adeguato: oggi siamo arrivati a 10 giorni, ma non siamo neanche vicini ai livelli degli altri paesi europei». Questo, quantomeno, garantirebbe una divisione più equa del lavoro familiare. Come abbiamo già raccontato, però, la questione è in salita, visto che spesso i padri non prendono nemmeno i pochi giorni di paternità che sarebbero previsti per legge.
La politica ha il potere di orientare queste dinamiche. Inverno fa l’esempio del divieto di fumo: «all’inizio i fumatori non erano d’accordo, poi tutti si sono abituati». Eppure l’urgenza di questo cambiamento è evidente. Inverno cita una delle mamme che sono state intervistate per stilare il rapporto, che chiede “Perché quando faccio un colloquio di lavoro mi chiedono se sono mamma e se farò figli, mentre a un uomo questa domanda non sarà mai fatta?” Una questione che emerge così spesso da suonare quasi come un cliché.