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Coltivare la passione per la lettura

Intervista a Gabriella Caramore, storica conduttrice radiofonica di Uomini e Profeti, per parlare di libri e letteratura

La pastora battista Lidia Maggi ha incontrato per Riforma Gabriella Caramore, storica conduttrice radiofonica di Uomini e Profeti, curiosa lettrice e, a sua volta, feconda scrittrice. Il suo contributo più significativo nel panorama culturale italiano è stato quello di aver contribuito a far conoscere e appassionare alle Scritture anche coloro che non si sentono a proprio agio nelle chiese. A voi l'intervista, buona lettura.

D. In questo tempo in cui molte voci lamentano il venir meno dell’atto di lettura, penso valga la pena raccontare l’esperienza di chi si è nutrito del cibo dei libri. Com’è stata la tua relazione con la lettura?

Ho avuto un rapporto precoce e intenso. Sono stata una bambina molto timida e solitaria; mia madre e le mie sorelle mi raccontavano le fiabe; e io ero affascinata dalle parole e dalle immagini: un fascino che non mi ha più abbandonata. Crescendo, ho iniziato a leggere da sola: il primo libro folgorante è stata “La capanna dello zio Tom”. Avevo 8 anni e lì ho capito che esisteva un mondo al di fuori della mia cameretta, delle mie cose da bambina. Da allora, ho letto sempre molto.

D. Nella casa dove sei cresciuta, c’erano i libri?

A differenza della mia casa attuale, invasa dai libri, in quella in cui sono cresciuta non ce n’erano molti; c’era, però, grande rispetto per l’istruzione, la cultura e dunque i libri. Alcuni libri li ho letti e riletti – persino dieci volte! Ed è da lì che viene la mia capacità di scrittura. Leggevo e rileggevo, capivo le parole, le adoravo, tornavo su alcuni passi. Oggi, lo scenario è molto differente: per appassionare i più giovani alla lettura non bisogna demonizzare gli altri strumenti narrativi. Assieme al libro c’è il web, forse anche i videogiochi: tutti strumenti da far interagire. Non penso sia difficile far sorgere il piacere di ascoltare storie e di raccontarle, purché ci sia una famiglie e una scuola all’altezza della sfida.

D. Nel tuo racconto biografico emerge l’importanza della rilettura. Mi sembra che oggi sia più difficile…​

Sì, perché siamo sottoposti a molti più stimoli. Io stessa faccio fatica, ora, a rileggere i libri che ho già letto. Ci può essere, tuttavia, un altro modo per ritornare su quanto abbiamo già letto. Mi riferisco a quella sorta di intelaiatura, di dialogo tra una lettura ed un’altra. Anch’io leggo contemporaneamente quattro o cinque libri e sperimento di riuscire sempre a rintracciare qualcosa che li unisce. Attualmente, sto leggendo il saggio di Guido Tonelli sul tempo, che mostra come gli universi nei quali noi siano dei granellini insignificanti siano immensi. Una simile lettura mi spinge a mettere in questo vasto orizzonte le diverse esperienze, persino quelle catastrofi che ci lasciano senza parole ma che risultano inevitabili, a motivo dei loro ritorni ineluttabili. Si può solo tentare di contrastare il male, finché non si apra uno spiraglio di tranquillità, di serenità. Stando alla letteratura in senso stretto, ho recentemente letto gli ultimi romanzi di Franzen, di Houellebecq e di autori italiani: testi densi, anche per l’aspetto spirituale, ma non direi propriamente coinvolgenti. Invece, nel romanzo di Camille de Toledo, Da una vita all’altra - in cui si racconta il dramma del suicidio, un gesto reiterato nella famiglia del protagonista e raccontato ossessivamente, fino a giungere ad una teoria delle relazioni famigliari di tipo materiale – ho colto uno spirito che agisce sulla materia, che mi sembra aprire un’interessante nuova prospettiva. Poi, sto leggendo poesie: nel testo postumo di Francesco Scarabicchi, La figlia che non piange, trovo una spiritualità urbana, quotidiana, che mi affascina. Contemporaneamente, ho iniziato a leggere una raccolta di poesie di Lea Goldberg, Lampo all’alba: versi più classici, con riferimenti alle Scritture e alla Shoà, ma abitati da una parola molto audace e attuale. Dunque, per far capire ai ragazzi che la lettura li riguarda, dovremmo proporre loro dei libri da cui si possa evincere che la narrazione ha a che fare con la loro esistenza; e questo vale sia a proposito di testi antichi che di quelli contemporanei, allo stesso modo di un fumetto, un film, un video. Questo dovrebbe essere lo sforzo principale. E a partire da qui valutare le difficoltà che sperimenta una piccola casa editrice, che si occupa di spiritualità. Insieme ad una collana di classici, filologicamente accurata, mi sembra necessario sganciarsi da una preoccupazione troppo confessionale, anche quando è animata da una lettura attualizzante. Forse, in questo nostro tempo, occorre qualcosa che scuota, che faccia anche scandalo. Ritengo che ci sia ancora spazio, oggi, per un’editoria che affronta tematiche religiose, a patto che da una parte eviti la superficialità, la genericità – e questo significa scommettere su una produzione filologicamente molto solida ed una produzione storica critica e autocritica – e, insieme, che abbia un’attenzione per i dibattiti contemporanei, a livello scientifico, storico, letterario, anche a prescindere dal loro carattere religioso, scommettendo che alla fine tutto si ricollega. Insomma, bisogna saper osare.  

D. Questa tua ultima sottolineatura mi fa pensare che una casa editrice come la Claudiana è molto connotata in senso confessionale; e che nell’immaginario dei nostri lettori non c’è molto spazio per testi letterari.

È vero, c’è un problema legato alle attese dei propri lettori. Però, continuo a credere che, insistendo sull’eccellenza del prodotto, alla fine si apra una considerazione diversa a proposito della casa editrice. Si tratta di una scommessa, e dunque di un’operazione a rischio. Ma ci sono testi, come quello di Scarabicchi che ho menzionato prima, che non rientrano in una tradizione definita confessionalmente, ma che risultano estremamente interessanti per far pensare. Come le poesie di Pessoa, pubblicate da Passigli: testi profondamente religiosi. È questione di scovare testi eccellenti e di insistere nel proporli.

D. Secondo te, cosa può aiutare i più giovani a predisporsi alla lettura? Hai dei consigli da dare loro?

Pensiamo ai bambini: la sera, quando il papà o la mamma raccontano loro delle storie, vivono un momento di speciale intimità Una condizione favorevole alla lettura è, dunque, quella di stabilire dei tempi e luoghi per leggere – la sera, in un angolo, seduti su una poltroncina, ricavandosi uno spazio particolare. Inoltre, la lettura dovrebbe essere accompagnata da un esercizio di scrittura personale, trovando momenti in cui ci si scrive almeno il titolo del libro che si sta leggendo, del film visto, il nome delle persone incontrate o evocate dalla narrazione: un atto di scrittura che si può fare anche sul computer. Dunque, proporrei di unire la lettura e la scrittura, in uno spazio particolare, in cui ci sei tu, che leggi, il libro e chi l’ha scritto: un incontro a tre, di due persone e dell’oggetto libro. Ma perché l’incontro avvenga, è necessario ricavarsi un momento ed uno spazio precisi.

D. Quali sono gli autori a te più cari?

Nell’adolescenza, Dostoevskij e Tolstoj. Poi, le letture più diverse. Crescendo, non ho più avuto amori travolgenti, anche perché si è ampliato lo spettro dei miei interessi. Tra i filosofi, mi sono ritrovata molto in Jankelevitch, anche per il suo stile un po’ affastellato, che ritorna sempre sulle cose essenziali: leggendolo e anche ascoltandolo – era un grande affabulatore – sento di “vedere” il suo pensiero, non proprio sistematico ma sicuramente appassionato, lo scorgo nel suo prendere forma. Tra i letterati, ho avuto un grande innamoramento per Pessoa, in particolare il suo Libro dell’inquietudine. Poi sono tornata a leggere alcuni russi: Vasilij Grossman mi ha conquistata per l’apertura sul suo mondo, che mi ha spinto a cercare una medesima apertura sul mondo in cui vivo io; in Pavel Florenskij ho trovato la quotidianità delle lettere insieme al pensiero filosofico, metafisico e religioso. Ultimamente, mi sono piaciuti i testi della Horvilleur, Nudità e pudore e il Piccolo trattato di consolazione, a proposito dell’accompagnare alla morte. Ma una menzione a parte la debbo riservare, ancora una volta, alla Bibbia, a cui sono giunta molto tardi. Avevo maturato un certo pregiudizio nei suoi confronti, perché mi era stata presentata in termini devozionali e dottrinali: un libro chiuso dentro una gabbia. L’aver scoperto che in quel libro c’è un mondo, il nostro mondo che ci sta alle spalle, una realtà complessa, fatta di mille differenti dimensioni – individuale, comunitaria, infelice, appassionata, che prova a fare i conti con il bene e con il male… - mi ha accompagnata nel lavoro svolto in radio, con la trasmissione “Uomini e profeti”, ed anche in seguito.

D. Qual è il libro della Bibbia che più ti parla in questa stagione di crisi?

A partire dalla complessità del mondo biblico, dovrei dire il Qohelet. Ma più in generale, i Salmi, assieme a piccoli libri come Rut o il Vangelo di Marco. Quest’ultimo mi sembra il racconto evangelico più asciutto, con cui provare a misurarsi, attrezzando l’atto di lettura con gli strumenti dell’esegesi e dell’ermeneutica. Quanto a Paolo, da una parte penso che occorra decostruire gli stereotipi che non rendono ragione della ricchezza dei suoi scritti; dall’altra, però, mi sembra che non si possa far tornare tutti i conti. Posso osare dirlo? Secondo me, bisogna dirlo! Questa osservazione, che ovviamente andrebbe approfondita, mi spinge a dire che non sempre funziona il “leggere la Bibbia con la Bibbia”: portato alle sue estreme conseguenze, questo principio rischia di  funzionare alla stregua di un avvocato d’ufficio. La Bibbia va letta insieme alla storia successiva, a partire dagli interrogativi che l’umanità è venuta via via a formulare: e rispetto ad alcuni problemi che noi oggi dobbiamo affrontare, bisogna ammettere che la Bibbia non dice molto, se non nulla; che quella narrazione è anche figlia di un tempo diverso dal nostro. Ad esempio, è sicuramente molto interessante recuperare le figure femminili delle Scritture, a lungo lasciate in ombra; però, se non vogliamo quadrare il cerchio a tutti i costi, dobbiamo riconoscere che quei racconti sorgono in una società patriarcale e, almeno in parte, ne sono debitori. Ancora una volta, è la complessità che va messa in risalto.  

D. Dei tuoi scritti, qual è il libro a cui sei più affezionata?

Forse, l’ultimo, La parola Dio: rispetto ai precedenti, in quelle pagine mi muovo in modo più disincantato. In fondo, invecchiare è anche questo: bisogna, certo, stare attenti a non diventare persone ciniche; però, non è un male liberarsi da qualche illusione di troppo. Non necessariamente si diventa più malinconici, con l’avanzare degli anni; piuttosto, si giunge ad apprezzare meglio il contingente, quello che ti accade e ti tocca nella carne. In questo mio ultimo libro ho espresso quello che sono giunta fin qui a pensare; e da lì vorrei andare avanti.

D. Consigliaci un classico da rileggere…

Quasi tutti! A partire dalla Bibbia, ma scegliendo un libro e facendosi aiutare da un sussidio. E poi, oltre ad Omero, l’Antigone e l’Edipo a Colono. E ancora: i frammenti dei Presocratici; il De rerum natura, ma provando a leggerlo senza l’idea pregiudiziale che parli il medesimo linguaggio dell’approccio scientifico contemporaneo. Oppure Montaigne, una lettura che richiede un po’ di tempo.

 

 

 

 

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