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La mansuetudine

Un giorno una parola – commento a Filippesi 4, 5

Ascoltate, o re! Porgete orecchio, o principi! Al Signore, sì, io canterò, salmeggerò al Signore, al Dio d’Israele
Giudici 5, 3

La vostra mansuetudine sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino
Filippesi 4, 5

Ancora oggi, come al tempo dell’apostolo Paolo, autore della Lettera ai Filippesi, viviamo in un mondo in cui la mansuetudine è vista come segno di debolezza, come caratteristica dei perdenti che dinanzi ai forti sono costretti a subire e, quindi, ad essere forzatamente mansueti. Ma, come sappiamo, Paolo aveva abbandonato la mentalità di questo mondo per abbracciare totalmente l’evangelo di Gesù Cristo e aveva preso molto sul serio le beatitudini pronunciate dal Maestro. Quando Paolo parla di mansuetudine, lo fa con un vocabolo greco che indica al tempo stesso mitezza e comprensione. È un invito per noi credenti a rapportarci al nostro prossimo in modo veramente cristiano: non con arroganza, non mettendoci subito sulle difensive, ma con mitezza e soprattutto con comprensione, con la disponibilità di capire le ragioni degli altri, con il desiderio di trovare un terreno di confronto fraterno. Se tutti facessimo lo sforzo di comprenderci di più, tanti conflitti, a tutti i livelli, potrebbero essere evitati e la pace, quella autentica, potrebbe più facilmente essere realizzata, fino ad arrivare a cambiare il mondo. Ma – sorge spontanea la domanda – la mansuetudine non è un’arma troppo debole per cambiare il mondo? Guardando alla vita e alla testimonianza di personaggi famosi per la loro scelta non violenta, come Martin Luther King e Gandhi, capiremo meglio che la mansuetudine può portare a buoni risultati, anche se con tempi lunghi e con molto lavoro. E lo capiremo ancora di più guardando alla vita e all’insegnamento di Gesù Cristo che ha accettato di morire sulla croce per amore nostro.

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