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Si può giudicare?

Un giorno una parola – commento a I Corinzi 4, 5

Chi conosce i suoi errori? Purificami da quelli che mi sono occulti
Salmo 19, 12

Non giudicate nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore, il quale metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio
I Corinzi 4, 5

Nelle comunità a volte c’è molta confusione sulla questione del “giudizio”. Qualcuno pensa che si debba sempre sospendere ogni giudizio con chiunque anche quando ciò ignora comportamenti dannosi alla comunità. Altri a volte giudicano se stessi spiritualmente adeguati a giudicare il prossimo e se ne escono con parole così dure e richieste di provvedimenti così radicali da risultare semplicemente malevoli e da causare il disgregamento della comunione.

Dietro i commenti dell’apostolo Paolo, che scrive queste parole alla comunità di Corinto, c’è la forte preoccupazione per l’unità. Paolo sottolinea che il ministero e l’esistenza collettiva devono riflettere un’unità formata dal Vangelo, un’unità che a Corinto viene minacciata da un’atmosfera in cui le persone usurpano il diritto di Dio di giudicare.

Non bisogna dimenticare che queste parole vengono scritte per ricucire le divisioni e richiamare i cristiani a una corretta comprensione del loro posto nel piano di Dio. La chiesa aveva infatti perso la sua unità a causa di alcuni che avevano creato una “gerarchia” dei doni dello Spirito che li vedeva in cima alla scala avendo spinto gli altri in fondo. Lo stesso Paolo è molto duro nei suoi giudizi sulla comunità e, solo pochi versi più in là, afferma la capacità di giudizio dei credenti, ma pone tre regole.

La prima è di non giudicare nemmeno se stessi. Il tuo giudizio potrebbe essere falsato o da un eccessivo rigore che non tiene conto della misericordia di Dio, o da una eccessiva fretta nell’autoassoluzione che non tiene conto della giustizia di Dio. Questa regola è liberante, perché da un lato ti impedisce di considerare la grazia di Dio insufficiente, e dall’altro ti esonera dal compito di farti giudice del prossimo.

La seconda è distinguere le cose terrene da quelle eterne. L’idea che i credenti non giudichino nulla è irrealistica (basta essere membri di una chiesa per convenirne). Sulle cose terrene, che riguardano questi ultimi scampoli di storia umana, il giudizio è possibile e persino dovuto e salutare. Paolo stesso è durissimo nel giudizio nei confronti di quegli atteggiamenti che disgregano la comunità, ma è sempre pronto a ricordare alla comunità la sua realtà ultima di santità, di tempio di Dio e di corpo di Cristo, ossia il suo destino eterno di salvezza.

La terza regola è di ricordare che il nostro Giudice fu giudicato. Giudicare implica sempre l’assunzione di responsabilità personali. D’altronde, ci sarà un giorno – quel Giorno – in cui verrà gettata la luce necessaria per conoscere appieno “i pensieri del cuore” di ciascuno. Per adesso si può giudicare con amore, che non è il generico sentimento di legame con gli altri, ma è esattamente ciò che Dio ha rivelato in Gesù Cristo. Esso ha una natura teologica fondata sul sacrificio di Cristo sulla croce e il suo obiettivo è l’edificazione della comunità, non la glorificazione di alcuni. Il giudizio terreno è per l’edificazione, non per la distruzione. 

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