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Riconoscere la voce di Dio

Un giorno una parola – commento a Giovanni 10, 4

Mosè disse al Signore: «Se la tua presenza non viene con me, non farci partire di qui»
Esodo 33, 15

Quando ha messo fuori tutte le sue pecore il buon Pastore va davanti a loro e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce 
Giovanni 10, 4

«Una voce! Il mio diletto!»: così sospira la protagonista femminile del Cantico dei Cantici (2, 8). Una voce: tanto basta alla donna per riconoscere il suo amato. Non le serve vedere, basta ascoltare, perché quella voce è diversa da tutte le altre. Ci sono voci particolari, a volte uniche e quindi facilmente riconoscibili. Altre invece sembrano tutte uguali, comuni, al punto da non riuscire a distinguerle. Perché una voce diventi familiare e per essere certi che appartenga veramente alla persona che aspettiamo, occorre tempo. Un tempo di frequentazione, durante il quale il timbro, l’intensità, l’estensione di quella voce entrano a far parte di noi, perché la voce è in buona parte fatta di respiro, e il respiro è vita. Riconoscere perfettamente la voce di qualcuno è sentire la sua vita agitarsi dentro di noi, a volte come qualcosa di straordinariamente importante, a volte come qualcosa di terribilmente sconvolgente, voce da amare o voce da cui fuggire. 

Ma ogni pecora conosce la voce del suo pastore perché da lui riceve nutrimento, sicurezza, tranquillità. E dietro a quella voce nessuna pecora ha paura di incamminarsi perché è sicura che il pastore la condurrà verso pascoli erbosi ed acque tranquille. Se vogliamo riconoscere la voce di Dio dobbiamo frequentarlo, stare con lui buona parte del nostro tempo e lo possiamo fare nella preghiera, nell’ascolto della Parola, nella cura di chi ha bisogno, nel sostegno dei deboli. Dobbiamo frequentarlo al punto che quella voce sia per noi così famigliare da distinguerla in mezzo a tutte le altre voci del mondo al punto da poter dire: una voce! Il mio Signore! Amen.

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