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Mussolini e gli ebrei

Dal ministero dell'Interno alla Repubblica sociale, le strutture delle pratiche razziste del fascismo

Quale è stato il razzismo e l’antisemitismo di Mussolini? La risposta viene data dall’ultima fatica dello studioso di storia politica del Novecento Giorgio Fabre per i tipi della Carocci*.

Da documenti di archivio finora inediti, in particolare i decreti della Corte dei conti,  emerge l’impronta del tutto istituzionale del razzismo e dell’antiebraismo del duce di molto precedente le Leggi razziste del 1938: dalla presa del potere al crollo della dittatura. “Sede” di una «politica razzista sempre più raffinata», il ministero dell’Interno, che Mussolini occupò quasi interrottamente per l’intero ventennio servendosi anche del «“devoto collaboratore”» Guido Buffarini Guidi (sottosegretario al ministero dal 1933) e di Arturo Bocchini (capo della Polizia).

«I nuovi documenti reperiti nell’Archivio centrale dello Stato – sottolinea l’autore – precisano come ci sia ben poco di casuale nel razzismo mussoliniano, che via via, lungo gli anni, prendeva una forma più precisa, con l’uso sempre maggiore di sottoposti importanti e fedeli, i prefetti». Lo sta a dimostrare anche, e inequivocabilmente, «[…] il proprio progetto strutturale fin dal 1932-33, quando modificò un ministero, quello di Grazia e Giustizia e dei Culti, per assorbire nell’Interno appunto le questioni di Culto, finite poi a loro volta, in qualche modo, nelle commissioni ministeriali antiebraiche». Infine, anche nel periodo della Rsi, sono da registrare le sue “dirette” responsabilità quanto a deportazioni e sterminio.

Lo “strumento” ministeriale era la «Demorazza»: Direzione generale per la Demografia e la Razza – una struttura più volte modificata dal duce – ideata e finalizzata per le operazioni razziste e antiebraiche; le direttive contenute nei fascicoli erano espresse da una “M” che significava la deportazione se non anche la morte dell’ebreo («“eliminare gli ebrei”)». Per le “questioni ebraiche” vennero costitute più e diverse commissioni presiedute da “tecnici” di peso (giuristi, medici, scienziati…); una prima (giugno 1938) e una seconda (dicembre) a seguito del regio Decreto legge (novembre) sui Provvedimenti per la difesa della razza italiana. Con una ulteriore legge (1939) venne istituito il Tribunale della razza e nell’anno successivo una rivista “autorevole”, Razza e civiltà, che si valeva dei contributi di medici, docenti universitari, statistici, antropologhi, demografi…

Quello di “M” – conclude Fabre – si rivelò «un razzismo “inesistente”». Quanti avevano lavorato  per e nella Demorazza sono andati “dissolvendosi” negli anni post-bellici: rientrarono, senza scosse, nell’apparato statuale e fecero carriera, oltre a ricevere perfino «[…] onorificenze della Presidenza della Repubblica […]» (da Einaudi a Gronchi, da Segni a Saragat). Di costoro, l’autore offre singoli e puntuali profili. Il caso più “discordante” fu quello del presidente della Commissione sulla Razza, Gaetano Azzariti: ministro di Grazia e Giustizia nel primo Governo Badoglio prima, presidente della Corte Costituzionale poi (1957-1961). Invece, «quanto agli alti funzionari dell’Interno noti, nessuno fu mai epurato o particolarmente colpito. […] In questo modo, l’Interno cancellò, pezzo per pezzo, il proprio passato razzista, mentre molto più intervenne sul proprio fascismo, che era più difficile da ridimensionare o cancellare».

Il volume offre una lettura completa in forza di un apparato iconografico), una Appendice documentale e l’Indice dei nomi.

*G. Fabre, Il razzismo del duce. Mussolini dal ministero dell’Interno alla Repubblica sociale italiana. Roma, Carocci, 2021, pp. 550, 22 illustrazioni b/n, euro 49,00.

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