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Esprimere la nostra gratitudine nella preghiera

Un giorno una parola – commento a Colossesi 4, 2

Benedetto sia Dio, che non ha respinto la mia preghiera e non mi ha negato la sua grazia 
Salmo 66, 20

Perseverate nella preghiera, vegliando in essa con rendimenti di grazie 
Colossesi 4, 2

La lettera ai Colossesi esorta a perseverare nella preghiera e cita in particolare il rendimento di grazie. La gratitudine è un aspetto fondamentale della fede cristiana, anzi, secondo un catechismo riformato del 1563 è una delle tre cose che un/una credente deve sapere per poter vivere e morire nella consolazione che viene da Dio. Secondo questo catechismo la prima cosa da sapere è il nostro peccato, la seconda è la nostra redenzione – cioè che il nostro peccato è perdonato e che noi siamo liberati in vista di una vita nuova – e la terza è “come devo essere grato a Dio per questa redenzione” (Catechismo di Heidelberg, domanda 2).

Tutta la vita cristiana, secondo questo catechismo, scaturisce da questa gratitudine. Essa si esprime nella preghiera di rendimento di grazie a Dio, che è l’autore della nostra redenzione, e nell’amore verso il prossimo, che è il modo concreto e pratico in cui manifestiamo la nostra gratitudine a Dio, perché nel prossimo è Cristo stesso che ci viene incontro.

La fede è fiducia grata in colui che ci ha redenti e liberati dalla paura e dalla colpa; e la preghiera è risposta grata all’annuncio dell’evangelo, che ci dice appunto che in Cristo siamo stati redenti, cioè liberati. Esprimere la nostra gratitudine nella preghiera è dunque il nostro primo atto di fede.

La preghiera non è solo ringraziamento, ma nasce e comincia dal ringraziamento per tutti i doni ricevuti. Dopo aver ringraziato Dio per la redenzione ricevuta, possiamo dirgli in preghiera tutto ciò che ci sta a cuore, perché Egli ci ha promesso di ascoltare la nostra preghiera.

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