Il corpo strumentalizzato
02 dicembre 2020
Le donne sempre più esposte alle volgarità e anche ad alcune ipocrisie mediatiche
Il corpo delle donne è da sempre strumentalizzato a scopi del tutto estranei al loro benessere. Mercificato, oggetto di scambio sin dalla tenera età, caricato di senso ideologico in mille modi, da trofeo di guerra posseduto dai vincitori a icona rappresentativa di volta in volta coperta o denudata, frammentata, esaltata o stigmatizzata, ma sempre portatrice di significati altri da sé. Perché mai, dunque, ha suscitato tante reazioni al tutorial della “spesa sexy” andata in onda sulla rete Rai durante la trasmissione Detto Fatto? Perché il siparietto è stato trasmesso il 25 novembre, consacrato nel calendario Onu come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne? Oppure perché comincia a formarsi una coscienza collettiva che non sopporta più gli stereotipi sulle donne?
Eppure il mondo della pubblicità sembra non possa farne a meno. Non si vende automobile, prodotto cosmetico o casalingo, merce di qualsiasi genere, senza una donna seducente e ammiccante. Il sessismo negli spot è diffuso e incide sulla formazione culturale più di quanto si creda: bambine sognanti di diventare principesse e bambini astronauti, donne sempre bellissime e uomini super-palestrati. Emily Angelillo, la ballerina insegnante di pole dance, che ci dimostra come si va al supermercato con tacchi 12 e scollatura vertiginosa scatenando le ire del web e non solo, non costituisce un’eccezione.
L’indignazione è giustificata, ma anch’essa odora un po’ di ipocrisia e della retorica che ammanta le ricorrenze istituzionali. Nel 1999 le Nazioni Unite fissarono quella contro la violenza alle donne. La situazione è migliorata? Il VII Rapporto Eures ha registrato come negli ultimi 20 anni in Italia l’incidenza dei femminicidi in famiglia sia andata crescendo fino all’ 89% del totale nell’ultimo anno, impennata dovuto alla trappola del lockdown. Nel mondo è fermo a una donna su 3 l’indice medio di chi nella vita ha subito almeno una volta una qualche forma di violenza maschile. E sempre a livello internazionale gli ultimi rilevatori sono allarmanti: 243 milioni di donne abusate, in vertiginoso aumento i matrimoni forzati. Le società del XXI secolo sono ancora largamente lesive e discriminatorie nei confronti del genere femminile. Qui, infatti, abbiamo tralasciato l’analisi sull’emarginazione dal e sul lavoro. Difficoltà a entrarci e poi carriere e stipendi diseguali.
Anche questa è violenza. Si bersaglia Angelillo, ma anche Laura Pausini quando osa commentare che i giornali hanno dedicato più spazio alla morte di Maradona che agli ultimi efferati femminicidi. Si bersagliano Emily Angelillo e la conduttrice Bianca Guaccero, ma non si proferisce parola quando le cronache continuano a descrivere le donne vittime di violenza come coloro che hanno dato il movente al povero marito o ex-fidanzato o collega o sconosciuto, i quali hanno reagito a una situazione loro imposta. La narrazione largamente dominante vede una moglie insofferente che voleva separarsi e un marito esemplare per parenti e coinquilini, un brav’uomo colto da raptus improvviso.
Nondimeno esistono strumenti a disposizione dei cittadini e delle cittadine per ribellarsi a queste storture. Esiste il Testo Unico di deontologia giornalistica e il Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti, referente per segnalare l’informazione scorretta. Anzi, proprio il Testo Unico è stato arricchito il primo gennaio scorso dell’articolo 5bis che raccoglie il senso del Manifesto di Venezia del 2017 là dove chiede un linguaggio rispettoso, il divieto di spettacolarizzare la violenza, di minimizzarne la gravità. Così come esiste un Codice di autodisciplina della comunicazione pubblicitaria e l’istituto Iap a cui denunciare spot e slogan sessisti.
Sul piano legislativo l’Italia ha fatto passi avanti importanti, come la legge numero 66 del 1996 che finalmente sancì la violenza contro le donne quale delitto contro la libertà personale e non contro la moralità pubblica e il buon costume, quelle del 2001 sul patrocinio gratuito alle vittime di violenza, la n. 38 del 2009 contro lo stalking. Ma continua a mancare l’etica della parità, del rispetto. Servono iniziative come quella del collettivo “Non una di meno” che a Torino il 25 novembre si è scagliata contro i giornali e la loro “informazione tossica”? O finisce per offrire un alibi a quanti in nome della libertà di stampa ne abusano ledendo i diritti della persona? O serve l’attacco di associazioni trans e di parte dell’area Lgbt contro i movimenti delle donne? La loro ratio è semplice: il sesso biologico non definisce l’identità sessuale. Peccato che storicamente sia così e che per le donne pretenda di decidere il loro destino. Lo ribadisce la 5a mappa 2020, promossa da Giulia-giornaliste e da Vox-Osservatorio sui diritti, sull’odio diffuso via twitter: prime vittime le donne (49,91%), a seguire ebrei (18,45%), migranti (14,40%), islamici (12,01%), omosessuali (3,28%), disabili (1,95%).