Jerusalema al Tempo del Creato
01 ottobre 2020
Uno dei tormentoni musicali dell'estate è un brano gospel nato nelle chiese evangeliche: il testo è una preghiera a Dio in lingua Bantu
L’estate appena terminata per me è trascorsa nel timore di andare in spiaggia o fare qualche breve uscita, sebbene con tutte le cautele necessarie, ma anche nell’osservazione incredula di come nei comportamenti della gran parte delle persone sembrava fosse scomparsa ogni preoccupazione per il pericolo di contagio. A tutto questo a un certo punto ha fatto eco tutta una serie anche di simpatici meme costruiti sulle foto di politici locali e nazionali con l’avvertimento che, se fossero continuati assembramenti e feste, avremmo ballato “Jerusalema” nel balcone... ma cos’era?
L’ho scoperto dopo aver saputo che anche la Marina Militare di Taranto ne aveva ballato la coreografiadopo la cerimonia di giuramento della Scuola Sottoufficiali.
“Jerusalema” è una canzone che nasce come un brano gospel nelle chiese evangeliche, che nel novembre 2019 viene pubblicata dal producer sudafricano Master KG, ovvero Kgaogelo Moagi, e che, rimasta per mesi abbastanza localizzata e sconosciuta, è diventata popolare su TikTok anche grazie a un video di alcuni ragazzi angolani che la ballano tra una forchettata e l’altra mentre mangiano.
Spensierata e ballabile, inoltre, è diventata l’esempio di come un brano musicale possa diventare famoso a livello mondiale anche se non si comprende nulla di ciò che viene detto, poiché è il ritmo con una non troppo complessa coreografia a coinvolgere: infatti la scoperta è che la canzone è una preghiera rivolta a Dio scritta in lingua venda (lingua bantu parlata in Sudafrica e Zimbabwe), una vera e propria invocazione e richiesta di intercessione in stile veterotestamentario in cui la città d’Israele diventa città celeste nella quale si rinnova la speranza di una nuova vita. Il testo, ripetitivo come tutte le preghiere semplici e sincere, canta queste parole: «Gerusalemme è la mia casa/guidami,/ portami con te/ non lasciarmi qui. Il mio posto non è qui,/ il mio Regno non è qui/ guidami/ portami con te».
E così, dovendo preparare l’accoglienza per le classi della Scuola Secondaria di primo grado nella quale lavoro, ho pensato di proporre alcune attività anche interdisciplinari e creative su questo brano tutto da scoprire, pure dal punto di vista culturale nell’incontro tra popoli: dalle competenze alfabetiche funzionali per capire cos’è un tormentone, cos’è una canzone e com’è scritta, con schemi metrici ed eventuali rime, alla lingua venda, parte delle lingue bantu come l’italiano delle lingue neolatine; passando per il gospel tra Geostoria e Musica, fino ad arrivare al ballo di gruppo in Educazione fisica e senza trascurare la ‘nuova’ Educazione Civica che prevede lo sviluppo delle competenze sociali ambientali e digitali: quindi, cos’è una chiesa evangelica? Quali sono gli articoli della Costituzione che normano la libertà di culto? Quali chiese sono presenti sul territorio? E poi cos’è Tik Tok? Cosa dice la Legge a proposito del suo utilizzo? Dove si trovano Sudafrica e Zimbabwe? Quali sono le bellezze naturali di questi Stati? Come tutelarle?
Queste sono state soltanto alcune delle domande per riflettere e avviare conversazioni e ricerche, elaborare mappe concettuali, creare regolamenti condivisi, introdurre gli argomenti del nuovo anno scolastico, e anche inventare cover e parodie (tante sono quelle pubblicate su YouTube) con parole assonanze e messaggi che, per esempio, invitano al rispetto delle norme di base per un rientro a scuola in sicurezza, ma anche gentilezza e condivisione di intenti. Sebbene di passaggio, abbiamo il dovere e la gioia di convivere in questo “posto” nel rispetto reciproco e, quindi, di tutto il Creato.