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Missioni internazionali, cresce la presenza italiana in Africa

Con l’approvazione alla Camera della risoluzione sulle missioni internazionali viene mantenuto l’impegno in Libia e si rafforza in numerosi altri scenari, dal Golfo di Guinea alla Somalia, passando per il Sahel

Giovedì 16 luglio la Camera dei Deputati ha approvato la risoluzione sulle missioni internazionali, con cui si rinnova di anno in anno la presenza di militari italiani all’estero e che racconta molto della politica globale del nostro Paese.

Sotto i riflettori, inevitabilmente, è finita la Libia, a cui è stato dedicato un voto separato rispetto al resto, sul quale la maggioranza che sostiene il governo ha finito per spaccarsi.

Il testo, infatti, è stato votato in due parti separate: il primo, dedicato a tutte le missioni all’estero tranne la Libia, è stato approvato con 453 voti favorevoli, nessuno contrario e 9 astenuti, mentre il secondo, dedicato proprio al Paese nordafricano, ha ottenuto 401 sì, 23 no e un’astensione, e ha richiesto i voti del centrodestra per raggiungere la maggioranza.

Per la Libia è stato previsto lo stanziamento di oltre 58 milioni di euro, di cui 10 per la missione bilaterale di assistenza alla guardia costiera libica, registrando un aumento di 3 milioni rispetto all’anno scorso. Inoltre, quest’anno 39 membri della Guardia di Finanza e 8 dei Carabinieri saranno impiegati nella costruzione di un cantiere navale e di una piccola scuola nautica in territorio libico, su cui a oggi non si ha alcuna informazione.

I 23 deputati contrari al rifinanziamento senza sostanziali modifiche della missione in Libia hanno firmato un manifesto con cui spiegano perché l’Italia non debba più appoggiare la guardia costiera libica.

Il punto è sempre lo stesso: quella che chiamiamo Guardia costiera libica, e che ha il compito di pattugliare 600 chilometri di costa libica per fermare le persone che vogliono andare in Europa, è la somma degli stessi gruppi criminali e milizie che sin dall’inizio della guerra gestiscono anche il traffico di esseri umani che dovrebbero sorvegliare e i centri di detenzione per persone migranti. In questi luoghi negli anni sono state testimoniate violenze, torture, abusi e violazioni dei loro diritti fondamentali, accertate anche dalle Nazioni Unite.

Secondo le testimonianze raccolte in questi mesi, si ritiene che siano oltre 2.000 le persone migranti bloccate nei centri di detenzione ufficiali, mentre è impossibile sapere quanti siano rinchiuse in quelli informali, gestiti direttamente dai gruppi armati. Secondo i critici, il rifinanziamento deciso dal Parlamento italiano non fa altro che contribuire al traffico di esseri umani e alle violenze che le persone subiscono nei campi di detenzione.

Tuttavia, la Libia non è l’unico scenario africano in cui l’Italia è attiva: da alcuni anni, almeno dal 2017, la politica italiana ha accresciuto la propria attenzione verso il Sahel, storicamente poco presente nell’azione di governo ma centrale nelle azioni di cooperazione allo sviluppo. Con la sempre maggiore consapevolezza che attraverso Niger, Mali e Burkina Faso passano direttrici fondamentali per i flussi migratori verso il Mediterraneo, l’Italia ha aperto ambasciate in Niger, in Guinea e in Burkina Faso, mentre dal punto di vista militare ha rafforzato la propria presenza. Nel decreto approvato al Senato lo scorso 7 luglio, e che fa da base alla risoluzione della Camera, si afferma «la necessità di un coinvolgimento militare ulteriore dell’Italia in Sahel», che si traduce nella partecipazione alla divisione speciale di forze europee Takuba. Questa iniziativa, attesa tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, è stata lanciata a gennaio dal presidente francese Emmanuel Macron nell’ambito della missione Barkhane (nato nel 2014), e prevede per l’Italia una presenza con mandato di consulenza, assistenza e addestramento delle forze armate e delle forze speciali locali, nell’ottica di mantenimento della sicurezza, contrasto al terrorismo, rafforzamento delle capacità militari regionali e supporto logistico e operativo attraverso la fornitura di mezzi aerei e terrestri.

In concreto, la partecipazione militare italiana in Sahel, considerato «area strategica prioritaria per gli interessi nazionali», prevede il dispiegamento di 200 militari italiani e 20 mezzi terrestri nella regione di confine tra Mali, Niger e Burkina Faso.

Va ricordato che in Niger è già presente una missione bilaterale italiana che è stata riconfermata con il dispiegamento di 295 unità di personale militare, oltre all’impiego di 5 mezzi aerei e 160 mezzi terrestri.

Oltre alla Libia e al Sahel, c’è sempre più Africa nell’azione militare italiana all’estero: in ambito Nato, infatti, si parteciperà a un dispositivo aeronavale nel Golfo di Guinea, con scopo di prevenzione e contrasto alla pirateria e per la protezione delle attività estrattive dell’Eni, soprattutto nel delta del fiume Niger. A oriente, invece, la missione europea Eunavfor Atalanta continua, con un contributo italiano di 407 militari, due mezzi navali e due aerei per contrastare le attività di pirateria nel Golfo di Aden e a largo delle coste della Somalia. Proprio in Somalia, infine, si trova la missione EUTM, che impegna 148 militari e 20 mezzi di terra per formazione, consulenza e addestramento delle forze armate nazionali, oltre a 53 soldati e 4 mezzi terrestri tra Gibuti e la stessa Somalia per la missione bilaterale di formazione delle forze di polizia.

Proprio questi due scenari sono forse la novità principale del 2020, segno della volontà di consolidare regioni sempre più instabili e nelle quali la politica estera italiana ha perso moltissima rilevanza negli ultimi decenni, cedendo soprattutto alla Francia e, in tempi più recenti, alla Cina, pronta a investimenti e a operazioni più o meno dirette che sono state capaci di orientare sempre di più il consenso dei Paesi africani.

In totale, il nostro Paese sarà presente in 41 scenari esteri, per un massimo di 8.600 militari, schierati dal Golfo di Guinea all’Afghanistan, un altro tra i luoghi simbolo di un diritto internazionale sempre più debole e in cui sempre di più la politica perde terreno rispetto ad altre soluzioni.

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