Un’alleanza tra sanitari e cittadini
25 marzo 2020
A suo tempo servirà una riflessione seria da non limitare ai soli aspetti “tecnici”. Intervista a Roberto Labianca, primario di Oncologia a Bergamo e membro della Commissione bioetica delle chiese battiste, metodiste e valdesi
Nelle ultime settimane il mondo della sanità è stato costretto a fronteggiare l’aumento esponenziale del numero di ammalati di Covid-19, ma non sono venute meno le esigenze di sempre. Ne parliamo con il dottor Roberto Labianca, valdese di Milano, primario di Oncologia medica, cure palliative, terapia del dolore e hospice a Bergamo, e membro della Commissione bioetica delle chiese battiste, metodiste e valdesi.
– L’emergenza gravissima che stiamo vivendo sta facendo passare in secondo piano la situazione di altre categorie di ammalati. Pensando in particolare a quelle di cui si occupa lei, come incide il Coronavirus sul lavoro con questi ammalati e in queste strutture?
«Purtroppo vi è il rischio concreto che i bisogni e le aspettative dei malati non-Covid vengano passati in secondo piano di fronte alla marea montante della infezione da Coronavirus. Oggi molti ospedali arrivano a dedicare oltre la metà, se non di più, della propria attività a questi gravissimi ammalati e intere specialità sono letteralmente “sparite” sotto il segno di prestazioni non urgenti e rinviabili… Per patologie di estrema gravità come quelle oncologiche, si cerca di distinguere con ragionevolezza tra trattamenti non procrastinabili (chemioterapia, immunoterapia…) e visite di controllo e di monitoraggio nel tempo (il cosiddetto follow-up), con rinvio di queste ultime in modo organizzato ogniqualvolta sia possibile. Naturalmente, anche questa attività di ricollocamento dei pazienti ha una sua complessità e un suo dispendio di tempo».
– Anche medici e paramedici si stanno ammalando, e comunque sono sottoposti a ritmi lavorativi pesantissimi. Può essere una misura importante quella di far saltare l’Esame di Stato ai laureati, e considerare la laurea in Medicina di per sé abilitante, al fine di inserirli come medici sul territorio, permettendo a quelli che lo sono attualmente di dare sostegno negli ospedali?
«Sì, sono d’accordo: l’Esame di Stato è un retaggio del passato, come già riconosciuto da molto tempo e ne auspico personalmente l’abolizione definitiva. Pertanto cogliamo questa opportunità e facciamo scendere in campo subito le giovanissime generazioni, alle quali non mancano certo capacità e spirito combattivo».
– I suoi malati vivono già in condizioni molto difficili a causa delle loro patologie, ma il blocco degli accessi parentali e delle visite è un ulteriore aggravio: quali categorie professionali, oltre a medici e paramedici, possono sostenerli?
«Senza dubbio vanno citati gli psicologi, presenti già da anni in tutte le strutture di Oncologia medica e di Cure palliative degne di questo nome, ma anche gli assistenti sociali (non così frequenti come figure dedicate, ma di cui a esempio noi a Bergamo disponiamo per tutto l’iter della malattia oncologica) e le diffusissime associazioni di pazienti e di volontariato».
– Di fronte a un’estensione ancora più grave dell’epidemia si paventa che, non potendo curare adeguatamente tutti, possa rendersi necessario individuare dei criteri per trattare in terapia intensiva quei pazienti che abbiano una maggiore speranza di vita a scapito di altri, magari basandosi sul criterio dell’età – si veda sulla questione il recente documento della Società italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia intensiva (Siaarti), che ha dato luogo a un animato dibattito nei media. Per alcuni ci sarebbero rischi di svilire l’art. 32 della Costituzione. A quali livelli si dovrebbe ragionare sull’argomento?
«Non credo che su questo delicatissimo terreno vi possano essere decisioni solo tecniche, altrimenti tutto il grande lavoro sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) andrebbe in fumo. È molto importante arrivare rapidamente a stilare dei criteri condivisi per la cosiddetta “desistenza terapeutica”, magari partendo dal documento Siaarti di cui tanto si parla, ma arricchendolo di altri parametri significativi oltre all’età anagrafica, curando molto la comunicazione (peraltro assai difficoltosa in questo contesto) e tenendo conto, nei modi concretamente possibili, della volontà del paziente. La nostra Commissione di Bioetica, coordinata da Luca Savarino, ha in animo di intervenire su questo punto».
– Forse per la prima volta ci rendiamo conto che un abisso separa chi lavora con le cose, con le idee o con le parole – come chi scrive questo articolo – e chi lavora per le persone e con le persone. Il debito dell’Italia con gli operatori della Sanità è immenso. Da credente, membro di chiesa impegnato come medico e anche nella Commissione bioetica, come potrebbero le chiese “riallinearsi” un po’ nella collaborazione collettiva a un fine comune di solidarietà? Aiutare in che modo, sdebitarsi in che modo?
«Trovo singolare che medici e infermieri, da troppe persone e per troppo tempo considerati come “agenti di malasanità”, vengano oggi incensati come eroi, purtroppo nel momento in cui non pochi di loro cadono nell’adempimento del dovere. Spero che questa pesantissima vicenda conduca al consolidamento di una effettiva “alleanza terapeutica” in cui tutti facciano la loro parte e che ci veda tutti uniti, con la parola e con l’azione, contro i flagelli che affliggono l’umanità».