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Una vita spirituale in un contesto storico ben preciso

L’autobiografia del pastore Giulio Vicentini: una vocazione nell’Italia uscita dalla guerra 

Con il titolo Signore, tu mi hai chiamato per nome – memorie 1932-1960*, la casa editrice palermitana La Zisa dà alle stampe un intenso “diario spirituale” del pastore Giulio Vicentini, scomparso pochi mesi or sono, nell’ottobre 2019. Introdotto da una bella prefazione di Paolo Ricca, che sottolinea la sostanziale continuità del percorso vocazionale dell'autore, il volume è composto da tre capitoli, scritti tra l’agosto e il settembre del 1994, anno della sua emeritazione. Nella migliore tradizione evangelica del Sola Scriptura, ognuno di questi capitoli trae ispirazione anche dai versetti biblici suggeriti dalle Losungen di alcune domeniche di quel periodo.

Primo di una numerosa famiglia contadina, Giulio Vicentini nasce nel 1924 a Lonigo, in provincia di Vicenza (nomen omen), nel Veneto rurale (e “cattolicissimo”) di inizio secolo. Fin dalla più tenera età, rimane profondamente colpito dalle predicazioni di alcuni religiosi della sua zona e ben presto esprime ai suoi genitori la vocazione a seguire le loro orme. Nel ’35 entrerà dunque come “fratino” nel collegio dei frati minori francescani del suo paese. Sarà l’inizio di tutto per il piccolo Giulio, che amerà fin da subito l’idea di povertà evangelica.

La vita e lo studio proseguiranno quindi per diversi anni, con la loro rassicurante, seppur rigida, regolarità, fino al noviziato nel ’39, anno nel quale il suo nome di battesimo viene sostituito con il nome di Ulderico e che si concluse con il pronunciamento dei voti cosiddetti “semplici”. Fra’ Ulderico, nella sua felicemente ingenua, ma genuina, innocenza giovanile, continuerà dunque il suo percorso formativo prima a Gemona e poi a Padova, appena sfiorato dai tragici eventi che al di fuori delle mura conventuali sconvolgono il mondo intero. Anche l’Italia è in guerra, ma le uniche difficoltà per fra’ Ulderico sono di natura alimentare, niente e nessuno riesce a scalfire la coscienza evangelica e il generico patriottismo del giovane religioso, che prosegue i suoi studi a Venezia fino al ’48. Ma il ’48 segna anche il suo definitivo (o almeno tale sarebbe dovuto essere) ingresso nel clero cattolico-romano, con l’ordinazione al sacerdozio, motivo di grande orgoglio per tutta la sua famiglia. Trasferito a Roma, nel pontificio Ateneo Antoniano, i suoi studi teologici si fecero sempre più intensi e generalmente apprezzati.

Pochi anni dopo però, dal 51 circa, si affacciano i primi dubbi a tormentare l’anima del giovane sacerdote: la scoperta dell’eccidio delle Fosse Ardeatine e degli orrori nazifascisti in generale, alcune questioni di “coscienza sacerdotale” legate alla confessione auricolare di alcuni (e alcune) fedeli, a cui si aggiunsero la conoscenza di alcune forme di devozione popolare (molto prossime all’idolatria) che egli incontrerà in alcuni suoi viaggi in Calabria e infine l’ingerenza in politica dell’establishment cattolico del dopoguerra. Tutto ciò comincia a minare le “fondamenta spirituali” del sacerdote Ulderico (frattanto tornato a Venezia), sempre alla ricerca della libertà cristiana e della coerenza evangelica, che lo stesso Vicentini riassume in una (apparentemente) semplice domanda: “«Cristo dov’è?» (p. 107).

In una domenica del ’55 sarà proprio questa indifferibile domanda a condurlo a fissare un appuntamento con l’allora pastore della chiesa valdese di Venezia, Liborio Naso. Un incontro che gli cambierà la vita per sempre. «I capisaldi della Riforma (solo Cristo, sola Grazia, sola Scrittura) presero ad ancorarsi presto al fondo di me stesso, tanto che ebbi ripulsa a continuare a dire messa e a confessare […] Non sopportavo più di ingannarmi e di ingannare» (p.109). Vicentini giunge quindi a una drastica e radicale scelta, una sorta di salto nel buio (ma con Cristo a fungere da “rete di protezione”): ecco dunque la sua rocambolesca fuga (quasi un’evasione) dal convento dove viveva, la fraterna ospitalità ricevuta da tutta la famiglia del pastore Naso, il suo primo impatto con il mondo evangelico al Centro Ecumene di Velletri, che contribuirà a costruire e dove incontrerà la sua futura moglie Evangelina, a cui seguiranno gli studi a Roma nella Facoltà valdese di Teologia e la consacrazione a pastore nel 1960.

Questa autobiografia non si limita solo all’aspetto spirituale della vicenda umana di Giulio/Ulderico Vicentini, ma ha il grande merito di inserire questa vicenda all’interno di un più ampio affresco storico e sociale. Un libro “orgogliosamente umile”, così come lo furono le vite e le opere di Francesco d’Assisi e Valdo da Lione, e che rappresenta un’ulteriore, preziosa testimonianza della vocazione alla vita nella fede in Cristo. Una vocazione che Dio, nel suo infinito amore, può donare a ciascuno e ciascuna di noi chiamandoci per nome (Giulio, Ulderico o altro, poco importa), una vocazione capace di stravolgere la vita di chiunque trovi il coraggio di accogliere la libertà che viene dall’Evangelo.

* G. Vicentini, Signore, tu mi hai chiamato per nome – memorie 1932-1960. Palermo, La Zisa, 2020, pp. 136. 

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