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“Guarire i ciliegi”, uno sguardo sulla giustizia minorile

Il rapporto presentato dall’Associazione Antigone mostra un sistema che ha saputo rendere marginale il ricorso al carcere. Si può imparare una lezione anche per la giustizia per adulti?

Giovedì 20 febbraio l’Associazione Antigone, che da molti anni si occupa del sistema penale italiano e del rispetto dei diritti al suo interno, ha presentato “Guarire i ciliegi”, il quinto rapporto dedicato alla giustizia minorile.

Anche se a un occhio esterno la differenza potrebbe sembrare marginale e poco più che burocratica, il sistema della giustizia minorile ha una gestione totalmente differenziata rispetto a quella della giustizia per adulti. Dal 1988, infatti, esiste un codice di procedura penale specifico per i ragazzi che hanno commesso i reati tra i quattordici anni, ovvero il momento in cui si diventa imputabili, e i 18, quando si diventa maggiorenni e si viene affidati al sistema per gli adulti. A differenza di quest’ultimo, in cui il ricorso alla detenzione è piuttosto frequente, nel sistema di procedura penale per minori il magistrato ha un margine di scelta decisamente più ampio, al punto che, guardando i numeri, ci si rende conto di quanto il carcere sia un’opzione poco più che residuale.

Secondo i dati aggiornati al 15 gennaio 2020, i minori e giovani adulti detenuti nei 17 istituti penitenziari per minori erano 375, un numero in linea con gli ultimi decenni e nettamente più basso rispetto agli altri Paesi europei di dimensioni simili. Dal rapporto, infatti, emerge che in Francia e Germania, nel 2017, gli istituti di pena per minori ospitavano 794 persone detenute, nel Regno Unito 895 e in Italia 452. Ma questo non è l’unico dato rilevante. Anzi, forse non è neppure il più significativo. «Quello che bisogna guardare in paragone  – spiega Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’Associazione Antigone – è un altro numero, cioè il fatto che oltre 13.500 sono i ragazzi in carico al tema della giustizia penale minorile. Questi 370 sono una minoranza all'interno di un numero più ampio che è distribuito nel sistema delle comunità, nel sistema della messa alla prova, dell'affidamento ai servizi sociali, misure che sono immerse nella società e nella comunità e non sono segregative come il carcere».

In generale, sono in calo nel nostro Paese i numeri della criminalità minorile. Fra il 2014 e il 2018, si legge nel rapporto, le segnalazioni da parte delle forze di polizia all’autorità giudiziaria riguardanti i delitti commessi da minori sono infatti diminuite dell’8,3%, passando da oltre 33.300 nel 2014 a 30.600 nel 2018. In netta diminuzione gli omicidi, sia volontari (-46,6%) sia colposi (-45,4%), e ancora più marcato è il calo dell’associazione per delinquere (-82,5%). Per contro, nello stesso periodo sono raddoppiati i minori segnalati per associazione di tipo mafioso (+93,8%: erano 49 nel 2014, sono diventati 95 nel 2018). A fronte di queste segnalazioni, gli imputati minorenni sono per il 70% italiani e per il 30% stranieri. Tuttavia, gli stranieri rappresentano il 57,1% dei ragazzi e delle ragazze recluse, riproducendo una distorsione presente anche nel sistema penale per adulti.

Nonostante ci sia ancora molto da fare, è evidente quanto la giustizia minorile abbia un approccio differente nel ricorso al carcere, al punto da poter essere considerato per certi versi in anticipo rispetto al suo corrispettivo per adulti. «Ci è già capitato in passato – chiarisce Susanna Marietti – di imparare dal sistema della giustizia minorile. Pensiamo per esempio all’Istituto della messa alla prova, che troviamo dal 1988 nel codice di procedura penale minorile e che nel 2014 il legislatore ha scelto di trasportare anche nel sistema degli adulti, perché si vedeva un buon funzionamento di questo istituto giuridico». Anche le norme introdotte nell'ottobre 2018 potrebbero tracciare un percorso: negli istituti penali per minorenni sono previste opzioni detentive molto aperte e molto collegate con il territorio, secondo cui i ragazzi vanno a scuola e seguono i corsi professionali all'esterno del carcere. «È un modello di detenzione – prosegue Marietti – che si spera un domani riuscire a portare nel sistema degli adulti».

Se da un lato le leggi mostrano un approccio differente, va detto che senza un’impostazione culturale diversa probabilmente il livello di applicazione sarebbe inferiore. Nel caso della giustizia penale, l’impostazione appare molto più educativa e meno repressiva. «Questo si è visto ben prima dell'entrata in vigore delle nuove norme», racconta ancora la coordinatrice di Antigone. «Già negli anni scorsi si vedevano delle prassi che in qualche modo le hanno anticipate: una buona parte delle norme del 2018 sull'ordinamento penitenziario minorile era già scritta nella pratica degli operatori proprio per questa mentalità, per questa impostazione culturale. Si riconosce che il ragazzo è una personalità in evoluzione, che il ragazzo che commette il reato ha alle spalle una situazione che in qualche modo l'ha portato qui e si riconosce che sono delle vite che la società non può permettersi assolutamente di perdere, che vanno assolutamente riportate nel contesto sociale».

 

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