Tv pubblica, garanzia di pluralismo
13 dicembre 2019
L’ipotesi di una privatizzazione totale del servizio andrebbe a scapito delle minoranze e sarebbe un’ulteriore anomalia del nostro paese. Ne potrebbero risentire le trasmissioni religiose
A intervalli più o meno regolari la questione della riforma della Rai torna sulle agende dei politici di turno. Una rete privatizzata, un sistema misto, meno controllo politico, adeguamento dei livelli minimi di raccolta pubblicitaria: molte e trasversali all’arco dei partiti le idee messe nero su bianco nel tempo.
Nessuno era però mai arrivato, come in questi mesi, a proporre una privatizzazione pressoché totale del servizio pubblico radio televisivo (proposta di legge Paxia, Paragone, Patuanelli). Si tratterebbe di un colpo mortale al pluralismo informativo e all’indipendenza, garantite dal canone. L’altro garante, ricordiamo, sarebbe il Parlamento, non fosse che nel nostro Paese onorevoli e senatori hanno confuso troppo spesso il concetto di servizio pubblico con l’ossequio obbligato alla maggioranza del momento, presidiando le varie reti.
Diventerebbe in Europa un’anomalia tutta nostrana. Non a caso pure gli svizzeri, la cui avversione nei confronti dello Stato centrale è nota, di recente sono andati a votare in percentuali decisamente superiori alla media per il referendum che chiedeva l’abolizione totale del canone che finanzia la Ssr, la Società svizzera di Radiotelevisione.
In quella occasione molte sono state le critiche avanzate per manifestare con forza contro la fine pressoché certa di molti programmi a sfondo sociale, regionale, o capaci di dare voce alle minoranze, siano esse politiche, religiose, etniche. Decine di proposte che certo non vengono seguite da milioni di spettatori ma che rappresentano fondamentali strumenti di pluralismo, di conoscenza, di didattica, di pari opportunità, non avrebbero più ragione di esistere.
Si tratta di un tema centrale. Una televisione privata valuta per ovvi motivi i pro e contro della costruzione dei palinsesti sulla base dei ritorni economici garantiti dalle pubblicità delle aziende. Le quali vogliono rivolgersi alla maggior platea possibile. Il pubblico diventa merce, la gratuità dell’offerta ha come contro altare l’omologazione dei programmi, l’appiattimento sui gusti più popolari, una proposta commerciale profilata sulla pura base degli indici di ascolto. La tendenza è di alimentare la maggioranza che fagocita tutto il resto.
Il pubblico stessa diventa merce da vendere ai brand, e il tempo che l’utente spende davanti allo schermo assume un valore economico. Tutto perfettamente lecito in un’ottica puramente commerciale. L’esplosione del mondo di internet ha portato agli estremi l’idea di gratuità bilanciata dalla massiccia invasione di proposte commerciali, quasi costruite ad personam; e ha inferto colpi quasi mortali alla libertà di essere informati.
Già nel 1972, che nell’era dei nuovi media significa la preistoria, Raymond Williams, professore a Cambridge e sociologo della cultura, parlava di «flusso televisivo», colpito dalle tv commerciali statunitensi in cui programmi e pubblicità si susseguivano in un unicum indistinto; per lui proveniente dall’ Inghilterra della Bbc pubblica, radicata a una serie di programmi dai fini educativi, con spazi definiti per l’advertising, lo shock porterà ad uno dei suoi testi più celebri: “Televisione, tecnologia e forma culturale”. Williams vi introduce il concetto di neo-televisione che verrà ripreso dieci anni dopo da Umberto Eco, impegnato ad analizzare l’irrompere delle tv private a sfidare il monopolio Rai. Eco criticava il livellamento verso il basso che la Rai aveva intrapreso ai fini di intercettare il gusto, presunto, del pubblico, sulla scia delle proposte delle nuove emittenti. Al bando i programmi culturali, pedagogici (ricordiamo il ruolo decisivo della tv pubblica nel creare un linguaggio comune in un Italia in cui si parlavano centinaia di dialetti e si zoppicava con la lingua della scuola), e via a proposte tarate su quello che si ritiene il pubblico medio, la “casalinga di Voghera”, inondata di telenovelas e chiacchiere da salotto. Nulla di nuovo quindi, e tutto già analizzato a fondo anni fa.
L’inserimento del pagamento del canone all’interno delle utenze dell’energia elettrica ha garantito un notevolissimo recupero di gettito. Lo si utilizzi per abbassare il canone stesso, a partire dalle classi meno abbienti. I lettori di giornali sono in crollo verticale, la televisione rappresenta nei numeri lo strumento con cui quasi la totalità della popolazione si informa. L’importanza di un servizio pubblico plurale è decisiva in una simile moderna democrazia.