Parole e silenzi
27 giugno 2019
La questione della “Sea Watch 3” con le frasi dei suoi protagonisti
Le storie che si leggono, si raccontano e si tramandano sono fatte di parole e di silenzi. Le parole servono a riempire e i silenzi, di solito, aiutano a pensare, a darsi il tempo di sentirsi a proprio agio con i vuoti lasciati.
In questi giorni, tra la terraferma e il mare, sono accadute molte cose e tante ne accadranno ancora: di seguito delle parole per raccontarle, gli spazi adatti per capirle.
«Basta, entriamo. Non per provocazione ma per necessità, per responsabilità»
Un monito seguito da una frase dura. Sono le 12.00 del 26 giugno 2019 e queste parole vengono pubblicate sul profilo ufficiale di Twitter della Sea Watch 3. Una nave battente bandiera dei Paesi Bassi, gestita dall'organizzazione non governativa omonima con sede a Berlino.
14 giorni fa, il 12 giugno 2019, la nave, recupera 53 migranti provenienti dalle coste libiche ma rimane bloccata al limite delle acque territoriali italiane. Il governo, invocando il “Decreto Sicurezza Bis” approvato a inizio estate, non concede il permesso di entrata nel nostro Paese. Salvo poi fare un passo indietro nei confronti di 10 persone: hanno bisogno di cure mediche.
«Non ce la facciamo più. Siamo come in prigione, ci manca tutto, non possiamo fare niente, non possiamo camminare né muoverci perché la barca è piccola mentre noi siamo tanti. Non c’è spazio» racconta un ragazzo a bordo della Sea Watch.
La gravità della situazione porta alcuni dei richiedenti asilo a ricorrere all'appello della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo; la quale, però, respinge la domanda passando la palla allo Stato italiano. L'Italia deve occuparsi e preoccuparsi della questione in merito, ponendo particolare attenzione alle situazioni critiche e vulnerabili a bordo. Sulla nave, la notizia del rigetto, scatena reazioni drammatiche.
«La Sea Watch in Italia non arriva, può restare in mare fino a Natale e Capodanno» dichiara in conferenza stampa il Ministro dell'interno. Deciso a mantenere la linea dura del “suo” Decreto sicurezza e rivolgendosi alle autorità olandesi rammentandone le responsabilità e sottolineando all'Europa tutta il rispetto da portare all'Italia, la quale non ha più intenzione di subire soprusi. 42 persone contro 500 milioni di abitanti.
«You are not alone»invece è stato scritto su dei fogli bianchi A4 da un gruppo di cittadini torinesi che, come in altre città e paesi, ha deciso di replicare a distanza di chilometri l'iniziativa promossa dal Forum Lampedusa Solidale, cui partecipa anche il progetto Mediterranean Hope della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. Anche a Torino uomini e donne appartenenti a diverse realtà e appartenenze politiche e religiose, si sono riuniti in un presidio consentito presso il sagrato della chiesa di Via Garibaldi. Sono lì dal 24 giugno, ogni notte dalle 20 alle 7 del mattino, dicono che ci resteranno fino a quando le sorti della Sea Watch saranno chiarite. Il loro simbolo sono le coperte termiche argentate, lo slogan “Restiamo umani”.
«Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo» sono le ultime parole che ha pronunciato Carola Rackete, il capitano della nave, alla fine di una lunga trattativa che non ha portato alcun cambio nella situazione di grave stallo. Il “capitano attivista”, violando il divieto di entrare nelle acque italiane, rischia il sequestro della nave e una multa fino a cinquantamila euro. Rackete sa in cosa incorre e in due settimane di silenzio politico e giurisdizionale decide di violare le leggi ma non i diritti. Su Twitter e Facebook una rete si sta già organizzando per raccogliere i fondi delle spese legali del capitano.
Questa storia, che è quella dei libri, dei telegiornali, della geopolitica e dei “tempi passati” che verranno raccontati da qualcuno è una storia di parole. Parole, frasi, dichiarazioni che servono a riempire facendo nascere stupore, guerre, nazioni, proteste, vittorie. I silenzi, perché questa storia è piena di silenzi, invece permettono di pensare e darsi il tempo di sentirsi a proprio agio con i vuoti lasciati.
Se ci si riesce.