Sea Watch, evitato il calvario. Parte la sfida dell’accoglienza
20 maggio 2019
La disponibilità manifestata dalle chiese protestanti europee, con i valdesi in prima fila, è il tentativo di percorrere una strada differente rispetto a quella dei “porti chiusi”, mai realmente tali
Nella serata di domenica 19 maggio si è conclusa con uno sbarco l’ultima operazione della nave Sea Watch 3, gestita dall’organizzazione Sea Watch e impegnata dal 2014 in attività di ricerca e salvataggio di persone sulla rotta migratoria del Mediterraneo centrale.
A bordo della nave si trovavano ancora 47 persone, che nella serata sono state trasferite su un’imbarcazione della Guardia Costiera per essere portate a Lampedusa, dopo un giorno passato in mare per mancanza di autorizzazione ad attraccare. Lo sbarco è stato reso possibile dalla decisione della Procura di Agrigento, che ha disposto il sequestro della nave e ha contraddetto le volontà del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che aveva più volte dichiarato la propria contrarietà, mantenendo la linea dei “porti chiusi” avviata nel giugno del 2018. È la seconda volta che la Procura di Agrigento segue questa linea, già applicata nel caso della nave Mare Jonio.
Secondo Paolo Naso, coordinatore del programma Mediterranean Hope della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, «la base giuridica per cui la Sea Watch 3 aveva deciso di procedere direttamente senza attendere le autorizzazioni è che c’erano gravi criticità a bordo». In effetti, già prima dello sbarco 17 persone erano state immediatamente trasferite su altre imbarcazioni e portate urgentemente a Lampedusa. «Tuttavia – spiega Naso – la criticità rimaneva, si parlava addirittura di tentativi di suicidio, e quindi il comandante ha ritenuto di dover fare rotta su Lampedusa, a quel punto in una situazione molto complicata».
Un contributo decisivo è arrivato proprio dalla Fcei, che ha lanciato la propria proposta incontrando il parere favorevole del Governo. «La Fcei – prosegue Naso – ha fatto quello che già in altre occasioni aveva fatto: se il meccanismo europeo di ricollocamento si ferma di fronte a cifre così basse noi siamo disponibili non soltanto ad accogliere tutti i migranti di cui stiamo parlando, ma anche a favorire un luogo di collocazione nel contesto europeo. È la prima volta che facevamo questa proposta e l’abbiamo potuta fare grazie al fatto che in questi mesi abbiamo ricevuto un eccezionale sostegno da parte delle chiese sorelle: Germania, Scozia, Francia, Olanda, soprattutto, che hanno chiesto costantemente che cosa possiamo fare, cosa possiamo fare per dare solidarietà all’Italia, che in effetti è un paese molto esposto al fenomeno. Ci è sembrato che questa richiesta oggi potesse trovare una risposta adeguata e quindi ci siamo candidati a fare ciò che le istituzioni europee non riescono a fare».
Ma come reagirà nei fatti l’esecutivo, profondamente diviso in questa fase di campagna elettorale che si concluderà con le elezioni europee, regionali e amministrative di domenica? «Vedremo – prosegue Naso – se il governo vorrà gestire in proprio le persone o se deciderà di affidarle a noi e attivare questo meccanismo. Comunque vada a finire, come chiese avremo fatto la nostra parte e saremo contenti del fatto che tante persone siano finalmente al sicuro e abbiano evitato quel calvario che in altre occasioni altri migranti hanno dovuto subire. Penso ai 200 della Open Arms che da Natale a Capodanno hanno dovuto rimanere nel Mediterraneo».
Quando nel 2014 si rinnovarono il Parlamento e la Commissione europea, una delle sfide principali sul tavolo era quella di riformare la gestione delle migrazioni a livello comunitario: dal Regolamento di Dublino al Regolamento Procedure passando per una visione globale del fenomeno al di là della sua dimensione emergenziale. A cinque anni di distanza, molte iniziative si sono arenate di fronte ai veti dei governi nazionali e il clima, stando ai sondaggi e alle impressioni della vigilia, non sembra favorevole. «La politica europea e italiana sulle migrazioni – conclude Paolo Naso – sta fallendo perché al mantra ideologico che i “porti sono chiusi” si contrappone la realtà delle cose, che è diversa perché ci sono leggi italiane e europee, non magistrati, che impongono attività di soccorso, di identificazione della sua identità prima di respingerlo e impediscono i respingimenti collettivi. Immagino che tutto sommato, finita questa brutta campagna elettorale, ci potrà essere un periodo nel quale con più realismo si torna a ragionare sulle criticità della politica italiana ed europea in materia di immigrazione, di flusso e ancora di più di libera circolazioni di rifugiati all’interno del territorio europeo».