Un argine alla frenesia verbale
09 maggio 2019
Un giorno una parola – commento a Giacomo 1, 19
Vigilerò sulla mia condotta per non peccare con le mie parole
Salmo 39, 1
Ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira
Giacomo 1, 19
Un vecchio adagio suona più o meno così: “Ferisce più la lingua che la spada”. Credo che questa perla di saggezza popolare sia quanto mai appropriata in questi tempi in cui sembra si sia perso il filo dell’umanità e, perché no, dell’educazione. Affacciarsi sulle piazze dei social ci offre con insopportabile frequenza lo spettacolo di aggressioni verbali verso colui o colei con i quali l’interlocutore non si trova d’accordo. Spigolosità, asprezza e, talvolta, turpiloquio segnano i moderni dialoghi virtuali.
D’altro canto poi, le persone sentono il bisogno di essere ascoltate, di scaricare, seppur verbalmente, le tensioni e i turbamenti; ma spesso, capita che, mentre il nostro interlocutore parla, lo interrompiamo o al massimo ci distraiamo per pensare quale risposta formulare prima che abbia finito. Che frenesia verbale!
La Scrittura oggi ci consiglia la calma nel dire, l’ascolto empatico, la moderazione nelle reazioni. Come al solito, l’esempio ci viene dal maestro che accoglieva ed ascoltava tutti, che consigliava e risolveva le problematiche esposte con la regalità e l’acume di chi sa sempre cosa dire e cosa fare.
Come credenti siamo chiamati a tanto, senza sfociare in giudizi, intemperanze e minacce.
E qui torna utile il consiglio dell’apostolo Paolo: «Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a chi l’ascolta (Ef. 4, 29)».
Siano le nostre parole di pace (v. Mt 5, 9) e di incoraggiamento, parole che testimonino quella pace e quella forza che sussistono in noi non per nostri meriti, ma perché riscattati dal principe della Pace (v. Is 9, 5). Quella pace custodirà innanzitutto noi stessi.