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Una rete di solidarietà

Inaugurato ieri il Community Center di Bologna, che amplia un’azione pluriennale della comunità metodista

Ieri, giovedì 21 marzo, è stato inaugurato a Bologna il settimo Community Center creato dalla Diaconia valdese-Csd insieme a diversi soggetti, la Chiesa metodista di Bologna e Modena con la sua scuola di italiano e il Comune, attraverso l’Istituzione per l’inclusione sociale e comunitaria (ne avevamo parlato qui).

Quest’ultima, ha spiegato ai microfoni di Radio Beckwith evangelica Michel Charbonnier, pastore della chiesa metodista di Bologna, contattato nel vivo della giornata, «ha sostenuto concretamente il progetto accogliendolo nei suoi locali in via dei Buttieri 13b. Per ora il Centro sarà aperto giovedì pomeriggio e venerdì mattina, ma la prospettiva è di ampliamento degli orari e delle sedi, in collaborazione con il Centro interculturale Zonarelli, vero crocevia di attività nell’ambito dell’accoglienza dei migranti».

L’inaugurazione è stata un successo, commenta Charbonnier, con la partecipazione oltre le aspettative di organizzazioni del terzo settore, associazioni che lavorano sul territorio, istituzioni ed enti pubblici. Ed è stata un bel momento di confronto, da cui è emersa l’importanza del coordinamento: «Dopo il momento più istituzionale si è continuato a parlare informalmente, è stato un buon momento per “fare rete”». 

Questa è la parola chiave che Charbonnier usa per descrivere non solo la giornata ma tutto il progetto: Bologna è una città vivace e impegnata, ma è importante ottimizzare le risorse, «Bologna è una realtà ricchissima di associazioni, di attivisti, ma il problema è che manca la rete e si rischia di curare ognuno il suo orticello, da un lato mettendosi a fare cose che altri già fanno (magari anche meglio), dall’altro ignorando che la risposta a bisogni e richieste è a due passi».

Il Community Center di Bologna nasce quindi, spiega Charbonnier, «dopo un lungo periodo di preparazione che è consistito primariamente in una mappatura di quello che già c’era sul territorio, per capire come relazionarsi e quali competenze si possono già trovare».

Del resto, il Centro non nasce dal nulla, ma prosegue e amplia un’azione pluridecennale della chiesa metodista di Bologna e Modena: in un certo senso, commenta il pastore, «è la versione 2.0 di quanto facciamo già da molto tempo, tra cui l’iniziativa più visibile e più longeva è la scuola di italiano, che quest’anno festeggia 19 anni». Una realtà radicata nella città, arrivata ad avere 600 studenti all’anno, con più di 60 insegnanti volontari. «Solo una piccola minoranza proveniente dalla nostra comunità – sottolinea Charbonnier – e questo è significativo di come possiamo essere chiesa e diaconia senza mettere etichette e simboli religiosi dappertutto, ma mettendoci l’ethos, il modo di fare e di essere proprio della nostra chiesa. Se vogliamo, il Community Center fa un po’ più in grande quello che la nostra comunità fa da una decina d’anni con il suo servizio di ascolto, che oggi si allarga a tutta la città, perché la richiesta è tanta, ma anche il potenziale è grande». 

In una realtà pubblica sempre più deprivata, il Community Center e la comunità metodista continueranno a fornire il proprio apporto: orientamento per le pratiche amministrative, supporto al percorso scolastico, orientamento ai servizi territoriali e al lavoro, mediazione linguistica e culturale, ma si impegneranno anche in nuove sfide, come l’accoglienza, la settimana prossima, di una famiglia di profughi siriani giunta in Italia attraverso i corridoi umanitari. Un ulteriore esempio della sinergia fra la chiesa metodista, la città, Mediterranean Hope.

Il messaggio che si è voluto trasmettere insieme alla Diaconia valdese, conclude Michel Charbonnier, è che «è il momento, visti anche i tempi bui che viviamo, di muri che si innalzano, di provare a fare un passo in più. Ci siamo proposti come facilitatori di questo passo: fare rete tra tutti coloro che lavorano nei servizi alla persona e nell’accompagnamento alla realizzazione del loro progetto di vita e il riconoscimento della loro identità e dei loro diritti».

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