«La fine di un incubo. Ora affrontare le migrazioni in modo strutturale»
10 gennaio 2019
Intervista a Paolo Naso, coordinatore del programma Mediterranean Hope della Federazione delle chiese evangeliche in Italia che con la Diaconia valdese accoglierà parte delle persone scese dalle navi a Malta
Il professor Paolo Naso è il coordinatore del progetto Mediterranean Hope della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Gli abbiamo chiesto come si è sbloccata la vicenda dei 49 migranti e il perché dell'ennesimo impegno delle chiese evangeliche e protestanti italiane.
Finalmente si è chiuso il caso Sea Watch e dieci persone a bordo della nave (probabilmente famiglie con bambini) saranno accolte dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), insieme alla Diaconia valdese e il sostegno della Tavola valdese. Una bella notizia e un bell’esempio di accoglienza che parte da lontano. E’ così professor Naso?
«Certamente. Finalmente si è potuto mettere fine a un incubo vissuto da quarantanove persone. Donne, bambini e uomini, che da giorni erano balia del mare su due imbarcazioni precarie e in condizioni difficili. L’aver potuto contribuire a porre fine a questa tragedia è per noi, come credenti e come chiese evangeliche, motivo di grande soddisfazione. Dieci di queste persone saranno affidate nelle mani della Fcei e della Diaconia valdese grazie alla ragionevolezza e a una mediazione governativa certamente non facile. Seppur vi siano state anche discussioni “divisive” in occasione dell’incontro di Gabinetto è prevalsa la linea della ragionevolezza, dell’umanità e della tutela dei diritti umani».
Con quale formula saranno accolte le persone?
«Il nostro è un dispositivo di accoglienza che guarda al futuro. L’accoglienza seguirà l'identico modello utilizzato in questi anni per i Corridoi umanitari: integrazione e accompagnamento in base alle necessità e alle prerogative delle persone individuate. Oggi, tuttavia, in materia di immigrazione è necessario trovare nuove strade. Illudersi che le migrazioni siano fenomeni temporanei è insensato, le migrazioni continueranno e saranno sempre più frequenti. A causarle spesso sono le condizioni disumane nelle quali molte persone sono costrette a vivere, pensiamo alla Libia, oppure i cambiamenti climatici, le povertà, le guerre; tutti motivi reali che spingono, anche rischio della stessa vita, molte popolazioni a cercare qualsiasi “strada” per poter giungere in luoghi sicuri, spesso percorrendo anche la strada delle migrazioni irregolari.
Dunque?
«La nostra azione mette al centro l‘Europa che prevede una equa distribuzione di quote di accoglienza; e se queste fossero realizzate nei termini previsti, in tempi più rapidi e in modo più efficiente e collaborativo tra le parti, sarebbe possibile operare meglio e su vasta scala. Nel nostro piccolo cerchiamo di contribuire in questo senso indicando alcune soluzioni possibili per gestire la questione legata alla crisi migratoria».
C’è un’Italia che impone chiusure e un’Italia che invece si apre ed accoglie rappresentata da gran parte della società civile, associativa e religiosa. Perché, secondo lei, la scelta di affidare le dieci persone è caduta proprio sulle chiese evangeliche e protestanti? In tanti si erano detti disponibili ad accogliere le persone della Sea Watch.
«Perché il governo abbia scelto la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Diaconia valdese e la Tavola valdese, è difficile a dirsi. Certamente, siamo stati tra i primi a denunciare l’insostenibilità delle condizioni di vita sulla nave; giovedì della scorsa settimana abbiamo ufficialmente espresso la nostra disponibilità con un comunicato ad accogliere le persone a bordo. Un gesto di collaborazione inviato al governo italiano per cercare di proporre una soluzione adeguata e rispettosa dei diritti umani; una decisione nuovamente ribadita tra venerdì e sabato con un nuovo comunicato. Nel frattempo la vice presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia Christiane Groeben ha avuto la possibilità di incontrare le persone salvate dalla Sea Watch accompagnando una delegazione di parlamentari tedeschi e potendo così osservare in prima persona ciò che stava avvenendo. Ciò che la vice presidente ha visto e poi riferito, ha rafforzato la convinzione di prendere contatto con i due ministeri interessati per confermare, questa volta in modo formale, le intenzioni espresse nei due precedenti comunicati. La determinazione con cui ci siamo mossi forse ha convinto le nostre istituzioni.
Torniamo al tema accoglienza. Come sarà articolata e dove?
«Come dicevo applicheremo la stessa metodologia utilizzata per i “Corridoi umanitari” - il progetto ecumenico e pilota in Europa promosso dalla Fcei, dalla Comunità di sant’Egidio e sostenuto attraverso i fondi Otto per mille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi. Sarà un percorso di accoglienza diffusa e d’integrazione. Lo faremo grazie alla Diaconia valdese, probabilmente in Piemonte, verosimilmente passando dalla Casa delle Culture di Scicli (Rg). Ma è ancora presto per poter dare informazioni concrete, prima è necessario conoscere il reale numero di persone individuate, capire se sono nuclei famigliari o singole persone; questo per trovare la migliore soluzione abitativa e il percorso più appropriato d'integrazione da affrontare. Crediamo fortemente nel valore dell’integrazione sia perché fa bene ai richiedenti asilo e ai migranti, sia perché fa bene agli italiani e all’Italia intera. L’immigrato se integrato è una risorsa per il Paese; se non è efficacemente integrato può diventare un problema per sé stesso e per il suo stesso progetto migratorio».
Una posizione forte e civica allo stesso tempo.
«Il percorso intrapreso dalle chiese evangeliche speriamo possa restituire a queste dieci persone, così come è stato per le persone ospitate grazie ai Corridoi umanitari, oltre 1500, e accolte in Italia con regolari voli di linea e visti umanitari, un’autentica prospettiva di vita dignitosa, rispettosa dei diritti e sicura. Lo faremo certi di poter contare sul sostegno di tanti italiani che malgrado i tempi difficili in cui viviamo credono ancora, e fortemente, che l’integrazione non sia soltanto un valore, ma anche una buona e arricchente pratica per la società».