Attivisti per i diritti umani chiedono la liberazione di Asia Bibi
23 ottobre 2018
L’appello è stato lanciato nel corso di una conferenza a Lahore (Pakistan) che ha riunito esponenti democratici di India, Pakistan e Sri Lanka.
Si è svolta a Lahore la prima conferenza dedicata alla memoria di Asma Jahangir, grande pioniera dei diritti umani in Pakistan deceduta lo scorso febbraio, dal titolo «Giustizia, chiave per l’emancipazione». L’evento ha visto riuniti attivisti per i diritti umani provenienti da Pakistan, India e Sri Lanka, che hanno lanciato un appello per il rilascio di Asia Bibi, la madre cristiana in carcere dal 2009 per accuse di blasfemia, e la fine dell’intolleranza religiosa in Pakistan.
Come ha spiegato ad AsiaNews Farooq Salheria, docente presso l’Università Beaconhouse di Lahore: «Appare oramai ovvio che l’accusa non è riuscita a provare le accuse di blasfemia mosse contro Asia Bibi. E l’ultima udienza di questo processo, iniziato nel 2009, fa ben sperare per un rilascio. Ma allo stesso tempo i fatti dimostrano che i giudici hanno paura delle reazioni del mondo islamista». Khadim Hussain Rizvi, leader del movimento estremista musulmano Tehrik-e-Labaik, ha promesso infatti una «fine orribile» ai giudici che oseranno liberare Bibi.
«L’uso della religione per dividere la popolazione – ha detto ancora Salheria – ha radici profonde nella nostra società. Il partito TLP, sostenuto dai radicali, ha presentato il maggior numero di candidati alle elezioni generali di luglio e ora usano la forza per imporre il loro volere».
Il verdetto sulla liberazione della donna cristiana è stato emesso lo scorso 8 ottobre (https://riforma.it/it/articolo/2018/10/12/ancora-attesa-asia-bibi). Tuttavia esso è «riservato», e i giudici hanno imposto ai giornalisti di non parlarne per timore di scatenare rivolte in tutto il Pakistan. Il marito della donna ha sottolineato che sarà «molto difficile per lei, in caso di liberazione, rimanere in Pakistan». Eppure, una petizione all’Alta Corte di Islamabad chiede che le venga impedito di lasciare il Paese.
Nimalka Fernando, nota attivista dello Sri Lanka, ritiene che «soltanto il coraggio e la morale possano sfidare i gruppi religiosi fondamentalisti. La religione non può divenire causa di violenza, perché in questo modo la si distrugge. L’Asia meridionale è piena di casi in cui l’interpretazione legale di un credo religioso diventa materia di vita o di morte, per donne e bambini. Questo è sbagliato».
Per Kamla Bhasin, femminista dell’India, l’intolleranza religiosa è legata a doppio filo con la politica: «La situazione in una nazione ha influenza sulla nazione confinante. Io credo che oggi le cose in India vadano peggio che mai. Continuiamo a chiedere al nostro governo di mantenere un atteggiamento laico nelle sue funzioni pubbliche, ma la violenza continua a scoppiare. Una soluzione può essere quella di insistere sui diritti costituzionali. Ma anche film, canzoni e poesie possono aiutare».