Fare memoria di ciò che è accaduto
15 ottobre 2018
In un liceo di Foggia, alcuni docenti hanno ritirato l’invito rivolto allo scrittore ebreo Roberto Matatia, a parlare di leggi razziali
Nei giorni scorsi, a Torremaggiore, in provincia di Foggia, alcuni docenti del Liceo Fiani-Leccisotti, hanno ritirato l’invito rivolto a Roberto Matatia, lo scrittore ebreo faentino, autore del romanzo «I vicini scomodi. Storia di un ebreo di provincia, di sua moglie e dei suoi tre figli negli anni del fascismo» (Giuntina, 2014), a parlare di leggi razziali ai loro studenti, sostenendo che a scuola non si fa politica. Il dirigente scolastico di quel liceo si è subito dissociato e ha rinnovato personalmente l’invito a Matatia a portare la sua preziosa testimonianza agli alunni del suo istituto.
Nonostante l’immediata presa di posizione del preside, ritengo inquietante quanto sia accaduto. Cosa vuol dire che a scuola non si fa politica? Matatia, forse, essendo ebreo, non poteva parlare di leggi razziali perché di parte? E chi sarebbe dovuto intervenire per avere un dibattito «corretto», forse gli estensori delle leggi razziali se fossero stati in vita? Mi domando se quei docenti che hanno ritirato l’invito a Matatia, avevano al chiaro cosa sono state le leggi razziali del 1938 e cosa hanno significato per migliaia di ebrei, molti dei quali finirono nei forni crematori.
Questo triste episodio è il sintomo, ormai sempre più diffuso, a vari livelli, di una mutazione culturale. L’affermarsi di atteggiamenti che, ignorando il passato, hanno svilito e sviliscono la cultura, quella con la “C” maiuscola, fino a farne una chiacchiera vuota e mortificante. Dietro questi atteggiamenti, che si moltiplicano sempre più e che spesso si accompagnano a egoismo, a razzismo, c’è un preciso disegno politico, che invoca muri e fili spinati in una Europa sempre più accerchiata da uomini e movimenti che si ispirano a teorie regressive apertamente ostili verso qualunque forma di differenza. Movimenti che mettono in discussione le conquiste più elementari della democrazia, ribadite da documenti come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, per citarne uno, che il prossimo 10 dicembre festeggerà 70 anni dalla sua proclamazione: gli essere umani hanno uguale dignità, qualunque sia il colore della loro pelle, il loro credo, la loro estrazione sociale, per non scomodare l’art. 3 uno dei più belli della nostra Costituzione. Siamo in un tempo in cui il richiamo alla «razza», alla difesa dell’«italianità», sostenuto da pulsioni identitarie e securitarie, evoca pagine buie della nostra storia recente. È solo un caso che questo governo, attraverso il ministro dell’Istruzione, abbia proposto la cancellazione della Storia dal nuovo esame di maturità e la sua riduzione negli orari di alcuni indirizzi scolastici? A me pare che questa proposta di limitare lo studio della storia sia una chiara azione politica volta a far cadere l’oblio su importanti vicende storiche del nostro paese.
In occasione dell’80esimo anniversario delle leggi razziali, il compito di noi insegnanti è raccontare ai ragazzi – attraverso i documenti storici e le testimonianze di chi quella storia l’ha vissuta sulla propria pelle – le ricadute di quel provvedimento scellerato voluto da Mussolini, promulgato dal re e accolto nella sostanziale indifferenza degli italiani. Perché non fare memoria di quanto accaduto è la strada più breve per correre dritti verso nuovi dolorosi scenari.