Quattro angoli della terra
01 agosto 2018
La personale della fotografa Vera Radosevic: un confronto tra passato e presente, realtà globale e globalizzazione
Vera Radosevic è una fotografa serba, laureata in scienze politiche, la cui passione per l’Africa l’ha portata a viaggiare per due anni in questo continente. Ha vinto il concorso fotografico VEA – Vivre en Angola e ha partecipato a diversi progetti legati alla performing art in collaborazione con il teatro non verbale di Belgrado. Le sue fotografie sono apparse in molte mostre e pubblicazioni; fino al 24 agosto sono esposte presso l’Art Primitive Gallery di Sarzana e offrono un nuovo punto di vista al percorso artistico che la galleria vuole offrire, attraverso questa e altre mostre. Grazie alla visione del curatore della mostra, Marco Abbagnara, ci si trova di fronte a un dramma: quello dei tempi che cambiano; e la consapevolezza di questo passaggio avviene attraverso le fotografie di qualcuno che vede negli scatti “persone con dei valori veri”. Un confronto che potrebbe venire in mente di fare solo a chi ha un approccio intellettuale con la storia, e quindi occidentale, prevalentemente bianco e benestante.
Comunque la si pensi, la galleria che espone le foto di Vera Radosevic propone una riflessione culturale legata al peggioramento dei tempi, in cui evoluzione equivale a corruzione. In questo scenario essere trasportati altrove dalle foto della Radosevic permette di confrontarsi con una realtà totalmente altra, in cui il tempo è dilatato, le incombenze sono dettate dalla rivoluzione terrestre e dal cambio stagionale.
Ecco il commento di Marco Abbagnara: «la riflessione della galleria è diretta verso nuovi mondi ancora sconosciuti, cerchiamo fotografi che realizzano reportage su tribù nascoste o poco conosciute in giro per il mondo e cerchiamo di fare conoscere alle persone, ai turisti e amanti della fotografia, questi popoli così sconosciuti in confronto alla grandissima omologazione che si sta attuando. Uno spaccato di vita completamente diverso che può provocare nello spettatore una forma di stupore rispetto a quello che succede ai quattro angoli della terra».
Perché la fotografia come mezzo?
«È l’arte più diretta attraverso cui lo spettatore si ritrova in se stesso, è molto più immediata, può dare più luce a quello che effettivamente sta succedendo nel mondo.
Vera Radosevic, in mostra attualmente, cerca costantemente personaggi primordiali, autentici e puri nel mondo che ci circonda. Cerca di far capire alle persone la differenza che passa tra il mondo della globalizzazione e le tribù che ancora oggi esistono e sopravvivono. I visitatori, soprattutto i più giovani, possono così confrontarsi con un loro simile che vive tra le capanne e la boscaglia, sopravvivendo con poco. Ci si confronta pensando a quello che si ha e non hanno gli altri».
Qual è secondo lei è il valore di trovarsi di fronte a questa diversità, in questo particolare momento storico?
«Il valore è profondo, ci rende consapevoli che ci siamo trasformati in qualcosa di diverso, allontanandoci dalla terra, da tutto ciò che era più semplice e puro. Oggi conosciamo un mondo più legato all’apparenza, mentre in questi altri luoghi la solidità è data dai rapporti familiari, dalla relazione con il proprio ambiente».
Sembra che per voi tribale equivalga a passato, ma le foto di Vera Radosevic sono state scattate oggi...
«Certo! In definitiva quello che vogliamo dire è che dobbiamo rispettare il nostro passato per poter vedere come sarà il nostro futuro. Grazie al passato e al retaggio lasciato da chi ci ha preceduto possiamo confrontarci con quelle che oggi sono queste realtà così diverse da noi. Il fatto che attraverso le foto di Vera Radosevic si abbia uno spaccato di presente e non di passato propone una riflessione molto profonda. Nonostante quella che noi pensiamo sia arretratezza, ci sono ancora persone che vivono con le poche cose necessarie e con una certa fierezza, lontani dalla seduzione della globalizzazione».