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La nostra guarigione

Un giorno una parola – commento a II Re 20, 5

Così parla il Signore: «Ho udito la tua preghiera, ho visto le tue lacrime. Ecco, io ti guarisco»
II Re 20, 5

Lazzaro era malato. Le sorelle dunque mandarono a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato»
Giovanni 11, 2-3

Ezechia è gravemente ammalato, la sua vita si spegne. Isaia riceve un primo messaggio per il Re: «Sistema la tua casa perché stai per morire e non vivrai» (20, 1). Il monarca reagisce invocando «la memoria» divina: «Ricorda che ho camminato in verità dinanzi a Te a pieno cuore», e «piange» amaramente una preghiera costituita da singhiozzi di bambino. Il mélech ritorna lattante aggrovigliato nel dolore dell’imminenza della morte rivolto verso il muro che si affacciava sul cortile intermedio che divideva il palazzo del Re dal Tempio. Rivolge il suo sguardo verso il luogo della presenza divina tra gli esseri umani. La preghiera per la guarigione non è stata articolata, il principe del popolo di Dio è stato sovrastato dalle lacrime.

Il profeta Isaia ritorna al Tempio e mentre attraversa il cortile che divide la casa del Re dalla casa del vero Re di Israele, riceve un altro oracolo divino che smentisce apparentemente il primo. La morte e la vita appartengono a Dio, l’essere umano non è padrone del «tempo» e non può ordinare il momento del proprio vivere che conduce al «suo morire». Il testo è profondamente simbolico, ogni elemento del racconto svela questo rapporto intimo, inestricabile tra il nostro vivere e il nostro morire e l’essere Dio un Dio di amore che «si ricorda di noi». «Ho camminato tutta la mia vita in verità dinanzi a te, a pieno cuore». Una vita vissuta in comunione con Dio non può essere raggiunta dalla morte. La guarigione diventa in questo contesto la salvezza, che consiste nella risposta data da Dio alla nostra morte: immergerci per sempre nella vita senza fine di Dio; nel morire non ci raggiunge la morte ma la risurrezione di Cristo.

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