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Un Festival, non solo Jazz…

Al via la sesta edizione del Torino Jazz Festival che sino al 30 aprile proporrà concerti, convegni e mostre. Ne abbiamo parlato con il direttore artistico, Giorgio Li Calzi

Da questa sera il Torino Jazz Festival (Tjf) prenderà avvio al Museo del Cinema, una bella suggestione. La musica dei «Radian» con Martin  Brandlmayr alla batteria, John Norman al basso e Martin Siewert alla chitarra, irradierà di note e di "colori" le scenografie e i set cinematografici contenuti all’interno della Mole Antonelliana, il simbolo della città piemontese. Quali saranno le novità del Tjf di quest’anno lo abbiamo chiesto al direttore artistico, Giorgio Li Calzi, trombettista, compositore e produttore musicale.

«Il Jazz festival ha già fatto goal – ci dice il direttore –, perché è stato dedicato al territorio piemontese e alla città di Torino e perché gli artisti che si esibiranno, da questa sera sino al 30 aprile, sono di grande rilievo nazionale e internazionale».

Oggi la produzione e la fruizione musicale sono cambiate rispetto a qualche anno fa; si è passati dalla vendita dei cd nei negozi, che ancora resiste, alla vendita di brani sul web e all’ascolto di musica con le applicazioni per telefonini. Evoluzioni di cui è importante tener conto anche quando si organizza un jazz festival?

«Sono un musicista, ho vissuto dagli anni ’70 in poi questo cambiamento. Dai vinili siamo passati ai supporti digitali, i cd; oggi invece compriamo musica su iTunes. Questa grande trasformazione porta con sé vantaggi e svantaggi. Siamo passati da un ascolto riflessivo della musica su apparecchi stereo di un certo livello, mentre leggevamo le mille informazioni contenute nel libretto con nomi dei musicisti, date delle incisioni, aneddoti e introduzioni o prefazioni di colleghi o esperti, all'acquisto di brani sul web. Certo a "parlare" e farsi apprezzare sarà, come lo era allora, sempre la qualità della musica. Credo, tuttavia, che la fruizione di brani musicali sia diventata più frenetica che nel passato, oserei dire più “vorace”, frammentata. Cosa che avviene ad esempio quando un brano è “consigliato” dalle applicazioni (App) attraverso gli algoritmi legati alle ricerche degli utenti; o l'ascolto random, ossia casuale. Musica che sempre più spesso è selezionata in base ai giusti degli utenti, di chi "naviga", attraverso una sequenza di brani spesso priva di sorprese. In passato ci si affidava ad esperti, critici, musicisti, o semplicemente a degli amici, con loro ci si confrontava, un modo per rafforzare i propri giudizi e gusti musicali. Un confronto diretto, a volte scontro, aperto e sincero».

Il Torino Jazz Festival sarà dal vivo, dunque cambia tutto… «In sostanza, jazz», recita lo slogan di quest’anno, o sarebbe meglio dire: «In sostanza, musica»?

«Direi: in sostanza, musica. La musica è salvifica per chi la fa e chi l’ascolta. Oggi è una necessità ed è l’arte più immateriale che possa esserci. É un rifugio, un godimento, una salvezza, è unione. La musica è terapeutica, proprio come la lettura. Distoglie dai problemi e libera la mente».

Questo è il messaggio del Torino Jazz festival di quest’anno, farsi salvare dalla musica?

«Più che sull’immagine salvifica della musica, abbiamo puntato sulla sua storia evolutiva. È necessario comprendere che la vita va avanti, evolve, si modifica nello spazio e nel tempo, e che dunque non possiamo rimanere "ancorati" al nostro passato, alle nostre abitudini, alle nostre convinzioni. La crescita individuale e collettiva passa attraverso la conoscenza; dunque anche attraverso ciò che riteniamo lontano da noi: da ciò che consideriamo pericoloso o che potrebbe ridisegnare i nostri schemi mentali e le nostre convinzioni. Dovremmo invece uscire dai nostri paradigmi precostituiti e incontrare, cercare, ciò che riteniamo lontano da noi. La musica lo ha saputo fare e oggi lo può insegnare».

Lei lo fa?

«Sono nato in Italia nel 1965 e guardavo in tv il Carosello; dunque non sono un afroamericano nato negli anni ’30 negli Stati Uniti. Eppure quegli “afroamericani nati negli anni ’30” hanno condizionato e indirizzato alcune scelte del mio percorso di vita».

Verrà qualcuno di questi afroamericani al Tjf?

«Certamente. Verrà un grande musicista come Archie Shepp, classe 1937, simbolo della musica afroamericana. Giovedì 26 alle 21 all’età di 81, Shepp salirà sul palco per aprire la serie di concerti alle Officine Grandi Riparazioni (Ogr); così farà Carla Bley, un’altra grande del Jazz, nata nel 1936, che il 28 aprile insieme al suo compagno di vita Steve Swallow, si esibirà insieme alla Torino Jazz Orchestra. Una bella jam session».  

Oltre ai grandi nomi storici del jazz quali scelte avete fatto?

«Il jazz ad un certo punto della sua storia ha accolto le differenze di linguaggio dall’Europa e dall’Asia, passando per una reale e immaginaria via  della seta e che si pone  come metafora  di una grande apertura culturale e sociale; sinonimo  di libertà: di linguaggio, di culture, di improvvisazione. Lo dimostreremo con personaggi come Magic Malik, musicista francese e originario della Costa D’avorio, un grandissimo genio della musica e poco presente nei jazz festival internazionali».

Il programma è davvero denso e ricco di appuntamenti. Come destreggiarsi dunque?

«Consultando il sito internet o telefonando al Comune di Torino presso il nostro Ufficio stampa. Radio, televisioni e giornali non ci hanno fatto mancare il supporto, regalandoci ampio spazio e ospitando notizie dettagliate in merito al festival; approfitto di questo spazio per ringraziare tutti».

Un festival non solo jazz, è così?   

«Certamente. Come dicevo il Jazz è predominante ma sono in cartellone appuntamenti differenti tra loro, come la presenza del trombettista jazz Fabrizio Bosso che si esibirà insieme alla Banda Osiris; o i Radian, già citati, con la loro musica elettronica, o le melodie di matrice italiana di Monica Fabbrini; per arrivare al rap di Frankie  Hi- Ngr che “duellerà” con il trio Al Jazeera.  L’idea dei promotori è quella di aprire, non di chiudere; di aprirsi  a un pubblico diverso con artisti diversi. Un esempio su tutti è l’artista Melanie De Biasio, capace di far respirare a chi la ascolta un clima intensamente Jazz, seppur la sua musica non la si possa definire tale».

La ricetta di quest’anno qual è?

«Lasciarsi sorprendere. Scegliere di andare ad ascoltare anche ciò che non si conosce. Scegliere, nel caso, anche di sbagliare. Perché, quando si sbaglia, si scoprono percorsi diversi, si aprono nuove porte, s’incontrano altre strade. Il mio consiglio è aprirsi alle diversità e condividere le proprie passioni con persone nuove, vivendo esperienze nuove». 

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