Rendimi la gioia della tua salvezza e uno spirito volenteroso mi sostenga
Salmo 51, 12
Gli apostoli dissero al Signore: «Aumentaci la fede»
Luca 17, 5
La richiesta degli apostoli è impastata, come spesso avviene, di incomprensione e, insieme, di profonda consapevolezza.
Se l’idea è quella che la fede possa operare in sé come una potenza, capace di segni più straordinari e grandiosi in diretta relazione alla sua intensità, quasi questa fosse misurabile, come l’intensità della corrente elettrica, quell’idea non è giusta.
Gesù chiarisce che non si tratta di questo: basta un granello di senape di fede, come dire un «nonnulla» di fede, per poter comandare ad un sicomoro, un albero maestoso con radici robuste e fortissime, ben piantate nel terreno dicendogli: «Sràdicati e trapiàntati nel mare» e quello – continua Gesù – vi ubbidirebbe.
Del resto, però, i discepoli mostrano una profonda consapevolezza del fatto che in tutto e per tutto dipendiamo da Dio.
La fede, stessa, per la quale, credendo, siamo salvati è dono di Dio e, in definitiva, non ci appartiene: non è volontà, né sentimento o emozione, se pure determina la volontà e muove sentimenti ed emozioni; così non è costruzione razionale, se pure è alla base di complessi sistemi di pensiero, né è una potenza o un potere, se pure ci dà la forza e determinazione per fare cose che nemmeno immaginiamo.
Con buona pace di chi pratica il «fai da te» della salvezza, né le opere né la fede, quasi fosse un nostro merito, ce la procureranno mai, essa sta salda sulla sola grazia di Dio, immeritata da noi e da lui donata, il che è un bene, perché lì, nelle mani di Dio, è al sicuro.