Mosè disse: «Prendete a cuore tutte le parole che oggi pronuncio solennemente davanti a voi … questa non è una parola senza valore per voi: anzi, è la vostra vita»
Deuteronomio 32, 46.47
Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli stesso non era la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce
Giovani 1. 6.8
Mosè esorta e ammonisce con queste parole il popolo radunato per ascoltarlo.
Il momento è solenne, la terra promessa è là oltre il Giordano.
Mosè ha terminato di intonare un lungo canto che riassume, profeticamente, l’infedeltà di Israele, il giudizio e l’intervento liberatorio e salvifico di Dio nei confronti del suo popolo; in quello stesso giorno salirà sul monte Nebo, per vedere il paese verso il quale ha guidato Israele, ma nel quale non entrerà.
È il testamento spirituale di Mosè; la sua prossima morte scandisce anche il passaggio dalla Tôrāh, la Legge, alla sezione detta dei profeti.
Prendere a cuore, letteralmente «metterci il cuore», significa molto di più che accogliere la Parola di Dio e i suoi comandamenti con un’adesione solo intellettuale o che coinvolga la sola ragione o che esprima fedeltà a una tradizione o a un’identità.
La Parola divina, se ci mettiamo il cuore, impronta la nostra vita, il nostro fare, il nostro pensare, il nostro sentire; anzi diventa davvero la nostra vita in ogni istante e dovunque siamo.
Si perde, allora, ogni arida distinzione fra fede e opere, tra credere e operare perché la Parola di Dio, se ci mettiamo il cuore, per la forza dello Spirito di Dio, ci cambia, e possiamo sperare, allora, di contribuire a cambiare il mondo.
La Parola di Dio, se ci mettiamo il cuore, ci apre, oltre questa vita a termine, che già riempie di sé, cioè di ogni bellezza e di significato, quella vita nell’eternità che in Cristo, il Padre ha preparato per noi.