A Vent'anni dalla mostra "Orlan a Roma 1964-1996", l'artista francese è tornata nella capitale, al Macro, con VideORLAN ‒ Technobody. Il suo lavoro è fortemente polemico e di ribellione rispetto a quelli che sono percepiti come gli stereotipi di bellezza e gli obblighi culturali. Artista molto colta, è conosciuta soprattutto per aver fatto riprendere i propri interventi di chirurgia plastica, trasformando la sala operatoria in palcoscenico dove le trasformazioni citavano grandi canoni della bellezza classica come la Monnalisa o la Venere di Botticelli. Lo scopo è sfidare gli stereotipi della bellezza.
La curatrice della mostra è Alessandra Mammì.
Prima della chirurgia, cosa possiamo dire sull'artista?
«Orlan nasce in Francia a Saint-Étienne, frequenta scuole artistiche e comincia a lavorare sul corpo femminile come unità di misura. Laddove lo standard sembra essere plasmato sull'uomo di Leonardo, lei organizza delle performance cominciando a misurare degli edifici iconici, musei o chiese, sdraiandosi per terra con indosso una tunica bianca, virginale, e segnando con un gessetto sopra la testa il punto dove arrivava, riprendendo poi la posizione. Usava se stessa come metro di misura. Sembra una cosa semplice ma si trattava di performance faticosissime perché copriva cubature immense. Arrivata stremata alla fine dell'esibizione, lavava la tunica completamente lacera e sporca, e l'acqua utilizzata veniva venduta. Queste operazioni si chiamano MesuRAGEs e sono i primi lavori in cui comincia a lavorare sul corpo come unità di misura e unità fisica».
Nella sua visione quindi il corpo è al centro di tutto?
«Il corpo della donna, che per Orlan non ha identità, è la costola di Adamo. Una percezione presente in tutti i suoi lavori così come nelle operazioni che sono filmate, anche un po' dure a vedersi, e trattate come grandi spettacolarizzazioni: lei fa i costumi, veste i medici, invita mimi e ballerine in sala operatorie. Nonostante tutto sono rappresentazioni anche molto ironiche. Nel suo lavoro a volte basta osservare la messa in scena o guardarla mangiare dell'uva come un Trimalcione felliniano, per percepirne l'ironia. Tutto è molto giocato sul filo del grottesco, un grottesco che inquieta sempre un po'»
Femminilità e grottesco sono un binomio piuttosto unico...
«Io penso che Orlan sia una grandissima artista proprio perché non rientra in nessun canone, cosa che le è costata una certa difficoltà nel ricevere i riconoscimenti che merita. Il suo lavoro è coerente, durissimo e non ha mai ceduto alle lusinghe di mercato. Questa ultima fase della sua ricerca è molto interessante perché dalla carnalità passa ad esplorare il virtuale e il digitale: in mostra ci sono i video storici e le ultime opere di realtà aumentata. Soprattutto c'è un videogioco che si chiama Experimente - mise en jeu, dove lei è una specie di Lara Croft che, invece di guerra, lotta e distruzione, qui gioca a ricostruire.
C'è un modo in cui l'arte di Orlan l'ha influenzata nella sua personale percezione della femminilità?
«Se non altro mi ha allontanato dalla chirurgia plastica».