La grande onda è una delle immagini più conosciute e riconoscibili non solo dell’arte giapponese, ma dell’arte in generale. È frutto di un momento storico particolare, l’epoca Edo che parte dalla metà del Seicento fino alla fine dell’Ottocento, e fa parte dello stile ukiyo-e, traducibile con “immagini del mondo fluttuante”. Si tratta della rappresentazione dei gusti, delle mode, dei luoghi, dei volti famosi che affascinano la classe cittadina emergente grazie alla nascita della capitale Edo che diventa sede dello Shōgun, il comandante dell’esercito. Grazie a un periodo di pace, gli artisti dell’epoca danno vita a una ricca produzione pittorica su rotoli dipinti a pennello; una produzione su larga scala che consiste sostanzialmente in xilografie policrome. La grande onda rientra in questa categoria ed è anche una delle famose 36 vedute del monte Fuji di Katsushika Hokusai.
La mostra è nello spazio espositivo dell’Ara Pacis di Roma fino al 14 gennaio 2018 e ha una particolarità: per motivi conservativi le opere non possono essere esposte per più di sei settimane, quindi il 20 novembre avverrà un cambio del 70% del percorso, comprese tutte le opere xilografiche. Di fatto, si tratta di due diverse mostre da visitare.
Ne parliamo con la curatrice, la dottoressa Rossella Menegazzo.
Come definirebbe il periodo storico in cui si inserisce l’arte di Hokusai?
«Si tratta di un momento affascinante perché è la conclusione di un periodo di grandi battaglie, interne al Giappone, tra vari clan militari che vogliono prendere il potere e dominare sugli altri clan. Sarà la famiglia Tokugawa che, a partire dal 1603, verrà messa a condurre il paese, sia da un punto di vista amministrativo che politico, e sceglierà Edo, ovvero l’attuale Tokyo come propria capitale. Avremo 150 anni di pace ininterrotti durante i quali, naturalmente, da una parte i samurai perderanno un po’ il loro potere perché non saranno più nei campi di battaglia, dall’altra però il ceto cittadino prenderà forza e vigore, si arricchirà e darà vita anche a tutta quell’arte del mondo fluttuante che oggi rappresenta il Giappone forse più di qualsiasi altro filone artistico».
In mostra ci sono circa 200 opere. Come dialoga l’arte di Hokusai con quella degli altri artisti in mostra?
«Si tratta di un percorso assolutamente nuovo che presenta il maestro Hokusai ma anche le tracce che lui lascia dietro di se. Viene messo in paragone con l’opera di altri suoi contemporanei che guardano a lui e si ispirano alla sua opera per creare i propri paesaggi, creare un nuovo filone di beltà femminili alla moda e con kimono splendidi, ma viene anche messo in paragone con i suoi allievi diretti e questo viene fatto sia attraverso la selezione delle opere xilografiche policrome più importanti, sia attraverso una bellissima selezione di dipinti su rotolo che vengono visti in Italia per la prima volta».
Dal punto di vista espressivo come può spiegarsi il successo di Hokusai sul mondo occidentale?
«Credo che Hokusai sia il nome che ha conquistato l’Europa, soprattutto Parigi, già dalla metà dell’Ottocento, quando il Giappone si è aperto all’Occidente e tante delle sue opere hanno cominciato a fluire fuori dai confini dell’arcipelago. A lui viene dedicata la prima biografia, piuttosto che ad altri artisti dell’ukiyo-e. Credo che la potenza delle sue opere stia proprio nella bellezza della costruzione dell’immagine. Se pensiamo a La grande onda, un’onda di dimensioni piccolissime in realtà, vediamo come oltrepassa il confine del piccolo foglio: ha una potenza universale, parla di natura e quindi parla con una efficacia e una semplicità che è comprensibile a tutta l’umanità e quindi supera i confini della cultura giapponese».