Che fosse in crisi il mito del sogno americano, la possibilità data ad ogni singolo individuo di giocarsi le proprie carte fino in fondo, a dirlo in tempi non sospetti sono stati per primi alcuni fra gli stessi figli di quelle terre.
William Faulkner nel 1955 sottotitola il suo libro “Privacy”,così: “Il sogno americano: cosa ne è stato?”, e pochi anni dopo il candidato presidente John Kennedy vince le elezioni lanciando ai concittadini un’altra sfida, quella della “Nuova Frontiera”, perché i vecchi confini apparivano già allora pericolosamente immobili. Una nazione, che è nata nel mito della Terra Promessa, nel solco della teologia del Patto fra Dio e i Padri pellegrini, mentre perde questa spinta smarrisce allo stesso tempo la linfa che ha dato forza e ha tenuto legati individui provenienti da ogni angolo del mondo, nel nome della sfida comune per l’affermazione di sé, e quindi delle comunità di riferimento.
La decisione di Donald Trump di revocare il Daca Act, (Azioni differite a favore degli arrivi dei bambini) il piano che il suo predecessore aveva voluto per dare un’opportunità, una chance di vita, a quei bambini e ragazzi figli di immigrati irregolari, si inscrive in questo filone. Che il magnate di New York potesse arrivare alla Casa Bianca appariva a tutti poco più che una boutade. Il voto di milioni di americani del MidWest, di quelle sterminate terre di frontiera che hanno visto inabissare il mito dell’uomo che si fa da sé con la fuga delle grandi aziende, ha messo il sigillo alla fine ufficiale di un’ epoca.
Non a caso i giovani che beneficiano del Daca Act vengono chiamati Dreamers, sognatori, strizzando l’occhio a quello che rimane l’elemento fondativo e il collante della nazione. E non a caso si è reso necessario dopo che il Congresso aveva a più riprese bocciato il più audace Development, Relief, and Education for Alien Minors Act, il cui acronimo ancora una volta è Dream, sogno, che prevedeva la concessione della cittadinanza ai figli di immigrati irregolari. Concessione che nel Daca è scomparsa, sostituita da rinnovi biennali che consentono a circa 800 mila ragazze e ragazzi di continuare a lavorare e vivere nel paese in cui spesso sono nati o che è il solo che ricordino, essendoci arrivati da piccoli.
Il parlamento entro il prossimo marzo dovrà trovare una soluzione per questa platea che altrimenti rischierà il rimpatrio forzoso nei paesi di origine dei propri genitori. Un abominio che sigilla la fine di una narrazione. Ma che rischia di incrinare anche quel patto originario?