All’ordine del giorno dei lavori sinodali in corso in questi giorni a Torre Pellice è stato posto in discussione anche il tema «Essere chiesa insieme» (ECI), progetto inteso a promuovere l’integrazione in una chiesa composta da nativi italiani e da persone provenienti da altri continenti.
Ormai la presenza e il coinvolgimento di immigrati nella vita e nelle attività delle chiese valdesi e metodiste è un dato acquisito. Secondo la ricerca Jerry Masslo (ed. Claudiana 2014) e alcune rilevazioni della Tavola valdese, il 15-20% della popolazione che frequenta le chiese metodiste e valdesi (concentrate soprattutto nel triangolo che partendo da Bologna comprende tutto il Nord Est) è costituito da immigrati. Fratelli e sorelle provenienti da paesi lontani sono ben inseriti nelle attività delle chiese; i percorsi di formazione interculturale LINFA promossi dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia hanno finora registrato livelli di adesione incoraggianti; a livello giovanile, la Federazione giovanile evangelica in Italia (Fgei) si conferma essere un luogo privilegiato in cui sperimentare l’integrazione culturale; infine, il Master interculturale promosso dalla Facoltà valdese di teologia ha avuto con un incoraggiante numero di partecipanti. Dunque, il cammino fin qui compiuto è incoraggiante, ma il percorso da fare è ancora lungo e vive alti e bassi.
Tale complessità sta nel fatto che Essere chiesa insieme più che un traguardo è «una dinamica» – per riprendere la relazione preparata dalla Tavola valdese –, che implica un cambiamento, richiede la capacità di mettere in discussione anche tradizioni ben consolidate e radicate. Non sempre si è disposti a questo, soprattutto quando nello scambio reciproco c’è chi pensa di non dover imparare nulla dall’altro. Diversi interventi nel corso della discussione sinodale hanno richiamato gli errori generati anche nelle chiese da una cultura – quella occidentale, europea – che si percepiva dominante. E qualcuno si è provocatoriamente chiesto se tale atteggiamento di superiorità verso chi appartiene ad una cultura diversa dalla propria sia veramente scomparso, e se le chiese valdesi e metodiste con una tradizione, una storia, una teologia, un’ecclesiologia solide alle spalle siano disposte a mettersi in discussione, ad imparare dagli altri, e a cambiare nel profondo.
In questi ultimi anni il contesto conflittuale più esplicito è stato la discussione su alcuni temi etici (l’omosessualità, le benedizioni delle coppie dello stesso sesso, la famiglia), ma col tempo si sono evidenziate altre criticità che riguardano l’ecclesiologia: leadership parallele, casse diverse da quella comunitaria, programmi giovanili «separati» da quelli promossi dalle chiese o dalla Fgei. Per proseguire il cammino dell’integrazione, ed evitare che si verifichino percorsi separati o marginalizzazioni, è stata ribadita la necessità di affrontare a viso aperto i nodi problematici, dando voce alle diverse posizioni e valorizzando lo specifico contributo delle sorelle e dei fratelli immigrati, nella consapevolezza che l’interculturalità nelle chiese è una sfida importante da cui dipende il futuro delle chiese.