La prospettiva cristiana della pena
19 agosto 2017
La giornata di studi intitolata al teologo Giovanni Miegge dedicata quest'anno al delicato tema carcerario
La colpa e la cura, il delitto e la pena, il ponte fra il dentro e il fuori, la pena di morte e il fine pena mai. E ancora, la qualità e la quantità del tempo, la soggettività cancellata e il recupero impossibile, le vittime, i carnefici, gli spazi soffocanti e le tante, troppe ore per pensare. Ampio, complesso, a tratti toccante, il tema scelto per l’annuale giornata di studi intitolata al pastore e teologo Giovanni Miegge, ormai consueto appuntamento del venerdì che precede il sinodo delle chiese valdesi e metodiste: “Il carcere e la pena in prospettiva cristiana”. A parlarne, nell’aula sinodale della Casa Valdese di Torre Pellice, chi nelle carceri e per le carceri ha dedicato sforzi, impegno, tempo. Ecco allora alternarsi ai microfoni Elisabetta Zamparutti, già deputata radicale, tesoriera dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” e rappresentante italiano nel Comitato per la prevenzione della tortura nel Consiglio d’Europa, Luigi Manconi, senatore, presidente dell’associazione “A buon diritto”, Eva Propato, volontaria al momento della casa circondariale di Empoli, Nicola Valentino, 26 anni in carcere all’ergastolo e fra i fondatori della cooperativa editoriale “Sensibili alle foglie”, il pastore Francesco Sciotto, da anni impegnato in materia con vari incarichi, la pastora Letizia Tomassone.
Nella prima parte della giornata spazio dedicato all’analisi dell’ergastolo ostativo, definito dalla legge 356 del 1992, che in sostanza vieta la concessione dei benefici carcerari per i condannati di alcune tipologie di delitti (terrorismo, associazione mafiosa e simili). Nessun permesso premio quindi, nessuna libertà condizionale, a meno che non si collabori con la giustizia nel favorire l’arresto di altre persone. Una pena di morte differita è stata definita dai relatori, una dilazione perpetua della condanna. «Lo Stato si prende la tua vita - racconta Nicola Valentino- ti esclude per sempre da ogni contesto sociale e decide il luogo in cui morirai. Non si può vivere aspettando di morire». Luigi Manconi ha quindi allargato il ragionamento per sottolineare la totale inutilità dell’esercizio carcerario così come è concepito oggi, «Che tutto fà tranne ristabilire l’equilibrio sociale, peggiorando anzi assai le cose», tanto da rilanciare lo slogan sull’abolizione totale del carcere, che è anche il titolo di un suo volume del 2015.
Francesco Sciotto ha ricordato che «La Federazione delle chiese evangeliche in Italia si è già con chiarezza espressa a favore dell’abolizione dell’ergastolo. Pena e carcere non sono la stessa cosa, la cella tutta la vita non è soluzione. Io credo che come cristiani, seppur di una piccola comunità, siamo chiamati a dire una parola forte su questo. E’ lecito prendersi la vita di una persona per sempre, senza offrire una prospettiva di cambiamento?».
Eva Propato dal 2005 spende il proprio tempo a dialogare con le detenute di varie case circondariali, e come gli altri relatori sottolinea «La totale mancanza di visione, di speranza che si respira fra quelle mura. Come fosse un mondo a sè, da tenere nascosto. Tanto che manca ogni sorta di ponte con il mondo “di fuori”. Così, se e quando verrà il momento di uscire di cella, questi soggetti non sono nè recuperati nè sanno fisicamente cosa fare, dove andare, reietti in un mondo che non riconoscono e che a sua volta non li vuole riconoscere».
Letizia Tomassone, a sua volta spesso in visita a detenuti, racconta della «Difficoltà di approcciare un microcosmo a sè, con le proprie regole che non sono quelle del mondo esterno. Ecco quindi il rischio di venir manipolati da questo o quel soggetto per i più vari motivi. A noi spetta ascoltare e quindi portare la parola di Dio, tentando di incidere sulla qualità del tempo».
Il tema è coinvolgente, divisivo e meritevole certamente di una riflessione da parte dei delegati ai lavori sinodali. Ragionare sull’ergastolo e non sull’intero panorama giudiziale avrebbe forse reso più coerente il pacchetto degli interventi, così come un più forte richiamo anche a chi sta dall’altra parte, cioè alle vittime delle violenze, soggetto decisivo per un vero riequilibrio sociale, avrebbe forse reso più ampio e variegato il prodotto finale, che è però un risultato di assoluto livello tecnico, data la qualità e competenze degli oratori.
La giornata si è conclusa con la proiezione di «Spes contra spem», il docufilm di Ambrogio Crespi sul mondo del carcere e, in particolare sulla realtà del 41 Bis e dell’ergastolo ostativo.