L'Italia che brucia: una cartina al tornasole
17 luglio 2017
I roghi, effetto anche di crimini e speculazioni, sono indicatori di trascuratezza e carenze strutturali
Con regolarità sconcertante e sospetta, al sopraggiungere delle condizioni meteorologiche estive, specie se estreme, iniziano a diffondersi i primi roghi, in particolare al Sud, che vanno moltiplicandosi e diffondendosi. La prima e immediata constatazione che viene fatta fa riferimento alla volontarietà delle cause che provocano l’innesco di questi incendi, in particolare per opera di organizzazioni criminali. In realtà le problematiche legate a questi eventi sono molto più complesse e richiamano responsabilità eterogenee, in particolare di organismi pubblici, ovviamente tenendo sempre ben presente il peso della criminalità organizzata.
Se la percentuale dei roghi che si innescano autonomamente per cause naturali è di poche unità, allora è indispensabile porre attenzione ad altre variabili quali l’organizzazione strutturale del territorio, la tipologia del suo utilizzo, le modalità storico-economiche della sua gestione, tutti elementi che hanno un’importanza fondamentale per capire l’origine del fenomeno incendi. L’abitudine a utilizzare il fuoco per ripulire aree agricole da sterpi e da residui di precedenti macchie mediterranee degradate, ovvero creare le condizioni per una ricrescita di nuova erba, specie in regioni a clima mediterraneo, arido, ventoso e con situazioni di temperature estreme, non può non trasformarsi in drammatici eventi catastrofici. Certamente a queste situazioni di gestione medioevale delle risorse agricole si aggiungono fatti criminali di chi ha obbiettivi distruttivi per finalità speculative o meramente demenziali di chi non si rende conto della pericolosità di certe azioni.
Ma tutto questo, oserei dire, fa parte della normalità della vita collettiva del nostro paese, climaticamente, geologicamente, morfologicamente e con modalità di gestione del territorio profondamente diverse da zona a zona, specie dal Nord al Sud. Allora, se questo è vero, sotto l’aspetto della gestione della sicurezza ambientale dal pericolo degli incendi dovremmo essere in presenza di condizioni organizzative, di controllo, di intervento che invece sono di fatto estremamente carenti, se non quasi completamente assenti. Dopo decenni di gravi incendi territoriali (500.000 ettari bruciati in 10 anni) manca una rete di infrastrutture di pronto intervento specializzato, mancano punti idrici di supporto, sono quasi inesistenti le delimitazioni territoriali (lame tagliafuoco) di separazione, poverissima è la rete a distribuzione diffusa di rilevatori automatici degli incendi.
Modesta è l’organizzazione burocratica e operativa del personale e dei mezzi di intervento immediato, confusa è la normativa che gestisce con modalità differenziate le potenziali condizioni di pericolo esistenti, manca una struttura, organizzata su tutto il territorio nazionale, di formazione e informazione delle comunità locali. Senza voler fare del pessimismo distruttivo, temo si possa dire che a ogni consistente evento di incendi, ai giusti rilievi dei mezzi di informazione si aggiungono ben pochi interventi operativi di medio-lungo periodo. Così continua la nostra situazione, decennio dopo decennio.