Il caso di Charlie Gard, il bambino inglese di dieci mesi a cui i medici hanno impedito il ricorso a una terapia sperimentale perché ritenuta accanimento terapeutico, ha riportato sulle pagine dei giornali il dibattito sulle scelte legate al cosiddetto “fine vita”, un tema molto sensibile a cui tuttavia non corrisponde, nel nostro Paese, un adeguato sistema normativo.
Lo scorso 20 aprile la Camera dei Deputati aveva approvato la proposta di legge 1142, intitolata Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari al fine di evitare l’accanimento terapeutico, un testo che permette di esprimere in anticipo quali trattamenti medici ricevere nel caso di gravi malattie. Presentata il 4 giugno 2013, la legge è uscita dalla Camera dopo quattro anni e ora è pronta per essere discussa al Senato.
Matteo Mainardi, dell’Associazione Luca Coscioni, coordinatore del comitato Eutanasia Legale, racconta che finora «il Senato ha lavorato molto rapidamente: la legge era incardinata in Commissione Igiene e Sanità, quindi sta affrontando al momento tutto l’iter con un ostruzionismo evidente da parte dei pochi partiti contrari». In particolare, nelle prime settimane si sono tenute 70 audizioni di esperti, un numero doppio rispetto a quelle della Camera e triplo rispetto alla normalità di altri provvedimenti passati attraverso la stessa Commissione, come il testo sulla sicurezza professionale. Dopo la fase delle audizioni, sono stati depositati circa 3.000 emendamenti, di cui 1.500 presentati da Alternativa Popolare, l’ex Nuovo Centrodestra. «Noi – prosegue Mainardi – stiamo chiedendo di andare subito in aula, quindi di non finire tutto il percorso in Commissione, altrimenti rischiamo seriamente di arrivare alla fine della legislatura, che è sempre più vicina, e dato che c’è anche l’estate di mezzo, con l’interruzione dei lavori parlamentari, rischiamo veramente di arrivare anche in questa legislatura a non avere una legge».
Oggi in Italia non esistono norme che diano al paziente o a un suo fiduciario la possibilità di esprimersi sul prolungamento o sull’interruzione delle cure che lo riguardano. La legge in discussione colmerebbe un vuoto che in passato è costato lunghe battaglie legali, come quelle che hanno interessato Eluana Englaro o Piergiorgio Welby, due casi lunghi e dolorosi che si sperava potessero almeno accelerare il percorso normativo su un tema così sentito dall’opinione pubblica.
Il testo in discussione riguarda sia il consenso informato sia le DAT, le disposizioni anticipate di trattamento. «Viene normato – ricorda Matteo Mainardi – quel diritto che è già previsto nella Costituzione all’articolo 32», nel quale si afferma che Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
«Chiunque – prosegue Mainardi – può rifiutare qualsiasi trattamento sanitario e lo può fare attraverso il consenso informato. Oggi è qualcosa di facoltativo che solitamente viene utilizzato dalla struttura sanitaria o dal medico per tutelarsi da eventuali problematiche che potrebbero intervenire durante un’operazione, ma deve diventare una vera e propria informazione che il medico deve dare al paziente. Si inizia a pianificare la cura con il medico, quindi non c’è più la figura professionale “sopra” il paziente, ma le due vengono poste allo stesso livello».
Se approvata, la legge darebbe la possibilità a qualsiasi maggiorenne di rinunciare ad alcune terapie mediche, in particolare la nutrizione e l’idratazione artificiale. Questa interruzione può essere ottenuta anche con le cosiddette “disposizioni anticipate di trattamento”, con le quali è possibile indicare a quali terapie si vuole rinunciare e a quali condizioni, nel caso in cui a un certo punto non si sia più in grado di intendere e volere, e quindi di esprimere la propria opinione.
Secondo i sostenitori della legge, questa legge ha un doppio riscontro positivo: è utile per il paziente, che può essere tutelato anche se non ha alle spalle una famiglia abbiente che può ricorrere a un giudice, e dall’altra parte tutela il medico, che invece in questo momento non può rispettare le volontà del paziente perché rischia di ritrovarsi indagato e sotto processo. «Si va a colmare questo grande vuoto – sostiene Matteo Mainardi – su entrambi i fronti».
La legge, che se approvata introdurrà il diritto all’interruzione delle terapie senza dover passare dai tribunali, è considerata buona da gran parte dei sostenitori della libertà di scelta sul fine vita, anche se contiene alcune aperture alla possibilità che le volontà del malato non vengano rispettate. Per esempio, è garantita la libertà al medico di rifiutarsi di seguire le indicazioni del paziente o quelle contenute nelle disposizioni anticipate di trattamento, nel caso in cui si possa dimostrare la scoperta di nuove terapie in grado di permettere un miglioramento del paziente, terapie di cui lui stesso non era a conoscenza al momento della redazione delle DAT. In realtà, un medico può rifiutarsi di interrompere nutrizione o idratazione artificiale anche per motivi descritti in maniera molto generica, che sembrano introdurre la possibilità di un’obiezione di coscienza sul “fine vita”.
Stando ai critici della legge, anche se nel testo non si parla mai direttamente di eutanasia assistita, c’è il timore che «tra le righe ci si avvii verso quel tipo di strada», come dichiarato da Antonio Pisani, neurologo dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e della Fondazione Santa Lucia.
«L’eutanasia è tutt’altro – ribatte però Mainardi – innanzitutto perché per richiedere l’eutanasia la persona dev’essere capace di intendere e volere, mentre qui stiamo parlando di una persona che perde la propria capacità e in un momento precedente decide quello che vuole fare non tanto della propria vita ma delle proprie cure, cioè a cosa si vuole sottoporre e a cosa non si vuole sottoporre». Tecnicamente, invece, l’eutanasia è l’intervento di un medico che procura la morte di una persona, mentre nella proposta di legge 1142 si garantisce il diritto al un rifiuto delle terapie, così come riconosciuto anche dalla Costituzione.
I tempi per l’approvazione sono piuttosto stretti, soprattutto perché, a causa della frammentazione dei gruppi parlamentari, trovare un’intesa in Commissione sembra un’impresa complicata. Tuttavia, secondo Matteo Mainardi «in aula la situazione dovrebbe essere abbastanza favorevole al disegno di legge. Il problema però sta proprio nell’arrivare all’aula. Alla Camera sembravano tantissimi i contrari, perché intervenuti molto nel dibattito generale, poi il tutto si è concluso con 326 favorevoli e 37 contrari. Dal Senato ci aspettiamo lo stesso».
Il vero rischio non sembra risiedere tanto nella difficoltà di trovare i numeri per far passare la legge, quanto nel fatto che, se passasse anche un solo emendamento in Senato, la legge dovrebbe ritornare alla Camera per una seconda approvazione. «In quel caso – conclude Mainardi – i tempi non ci sarebbero, e potremmo dire di aver perso l’occasione di avere una legge».