Pentecoste, in origine, era una festa agricola che segnava l’inizio dell’estate. Chiamata nella Bibbia la festa delle settimane o delle messi, veniva celebrata alla fine della mietitura, sette settimane dopo la Pasqua, cioè il cinquantesimo giorno, da cui il nome greco (pentecostês). Era una festa particolarmente gioiosa in cui si ricordava la liberazione dalla schiavitù egiziana e si presentavano offerte volontarie, tra cui del pane ottenuto con il grano nuovo, «nella misura delle benedizioni ricevute dal Signore» (Deuteronomio 16, 10). Successivamente, dopo l’esilio, nel quadro della festa viene celebrato anche il dono delle tavole della Legge tramite Mosè, sul Sinai, diventando così una sorta di festa del rinnovamento dell’alleanza e dell’impegno.
A Pentecoste, dunque, si offre in abbondanza in misura di ciò che si è ricevuto, alla luce di una alleanza fatta con il Signore che sta alla base della nostra libertà e della nostra responsabilità. Pentecoste è la necessaria conseguenza della Pasqua, nella doppia prospettiva della liberazione dalla schiavitù egiziana e della risurrezione di Cristo dai morti. A Pasqua abbiamo ricevuto tanto, se non tutto; a Pentecoste possiamo donare tanto, se non tutto, con gioia e riconoscenza. Il dono dello Spirito Santo come ci è raccontato nel libro degli Atti degli Apostoli, e che è anche la promessa per tutti coloro che sono battezzati, ha portato con sé ogni sorta di benedizione, affinché noi possiamo offrire agli altri e le altre i nostri doni per la reciproca edificazione della chiesa.
Pentecoste non è dunque un tempo in cui fare risparmi o calcoli, in cui puntare al ribasso o ritirarsi in buon ordine; così come la chiesa non è il luogo dove seminare rassegnazione, prudenza, timidezza. Semmai è il tempo in cui investire i propri talenti e donarsi gratuitamente; il luogo dove ritrovarsi insieme e gioire e seminare speranza e coraggio.
Nel nostro calendario ecclesiastico la domenica di Pentecoste coincide pressappoco con la fine delle attività. Un anno di lavoro di conclude e ci si prepara al riposo estivo per riprendere poi in autunno. Eppure il racconto biblico sembra dirci il contrario: da quell’avvenimento tutto ha inizio, la chiesa nasce e non si può più stare fermi o silenti! A Pentecoste si rinnova l’alleanza col Signore e il nostro impegno a essere una comunità capace di donare e di donarsi agli altri e alle altre; di dire con parole sempre nuove la risurrezione di Gesù Cristo, quale novità di vita che illumina la nostra esistenza e la nostra storia e apre davanti a noi un orizzonte percorribile. Tutto intorno a noi sembra assetato di questa parola e noi non possiamo tacerla. Non più lingue mute, pensierose, rassegnate, ma lingue che scottano, che devono muoversi, che hanno qualcosa da dire. A Pentecoste le lingue si sciolgono e comincia la predicazione, l’annuncio dell’evangelo che raggiunge tutte le creature. La chiesa scopre di essere universale, di saper cioè parlare a tutti e a ciascuno nella propria lingua.
La Pentecoste dunque è qualcosa che ci riguarda personalmente e che ha a che fare con la nostra vocazione e il nostro impegno con la chiesa. Allo stesso tempo è qualcosa che ci riguarda collettivamente come chiesa che cammina insieme e che cerca umilmente e con fede di rispondere alle numerose sfide e opportunità che ci si presentano. Il Signore ci convoca dunque nel giorno di Pentecoste, affinché possiamo rinnovare la nostra comune vocazione, mettere a disposizione i nostri doni e camminare insieme nella gioia.