Sta per intensificarsi la stagione di raccolta in diverse parti d’Italia, tra cui la Basilicata, al centro dell’attenzione per la condizione dei lavoratori e per i roghi delle baraccopoli che li ospitavano. Nel luglio del 2016, il ghetto di Boreano, nella campagna di Venosa, in cui vivevano centinaia di braccianti agricoli, era stato sgomberato, ma «senza, successivamente, aver dato soluzioni alternative», spiega Francesco Castelgrande, delegato locale dell’Unione Sindacale di Base che da tempo cerca di formare un carattere sindacale nei lavoratori migranti della zona, per permettere loro di difendere i propri diritti basilari. Anche la chiesa valdese e metodista del luogo ha cercato di portare il proprio contributo al miglioramento della situazione dei braccianti agricoli. In questo momento la stagione di raccolta «non è del tutto aperta – continua Castelgrande – anche se sono iniziati alcuni lavori di preparazione dei terreni. Le presenze sono ancora poco rilevanti, dal momento che i braccianti stanno tornando dalle campagne delle arance e dei mandarini in Calabria. Abbiamo già posto il problema alla regione Basilicata per affrontare l’accoglienza di quest’anno».
Quali presenze ci si aspetta?
«Quest’anno la regione sta parlando di un’unica soluzione di ospitalità che si dovrebbe creare a palazzo San Gervasio, anche alla luce della nuova legge Minniti. Noi la contestiamo, perché siamo convinti che riaprire situazioni simili alle carceri non sia la soluzione, per questo abbiamo chiesto alla Regione un incontro al fine di non intervenire anche quest’anno in situazioni di emergenza e ponendosi per tempo il problema reale dell’accoglienza. Se ci fosse un solo punto di ospitalità su palazzo San Gervasio, ci sarebbero ulteriori penalizzazioni per i braccianti che devono fare la raccolta sul territorio di Boreano, in quel modo sempre più distante».
Spesso i braccianti non conoscono i loro diritti: quest’anno è già iniziato un percorso di avvicinamento all’azione sindacale?
«Certo, e lo diciamo senza enfasi, ma stiamo organizzando i braccianti sotto tutti gli aspetti. Quest’anno stiamo realizzando un progetto che comprende l’alfabetizzazione di questi lavoratori, incontri sul campo dove i braccianti risiederanno per una formazione sui contratti, diritti e applicazioni contrattuali. Non è più possibile che queste persone vivano nella più totale ignoranza del problema».
Dall’alto ci sono risposte?
«No, le risposte mancano e le istituzioni sono completamente assenti. L’anno scorso avevamo fatto un protocollo d’intesa con la Regione Basilicata che doveva convocare le parti datoriali per il rispetto del contratto provinciale che loro stessi avevano siglato, ma la risposta è stata totalmente negativa. Allo stesso modo, è andata male anche rispetto a un accordo che eravamo riusciti a strappare in Regione per reperire abitazioni e non tenere i braccianti lontani dai centri abitati, anche per un discorso di integrazione: doveva essere emanato un bando nei comuni limitrofi, ma è rimasto lettera morta. Pensiamo dunque che anche quest’anno i problemi si ripeteranno come si ripetono da 15 anni».