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 «È il primo passo di una campagna nazionale contro l’intolleranza e le normative securitarie che sono state approvate, in particolare i decreti Minniti-Orlando, con una particolare attenzione ai luoghi in cui questo si somma a situazioni che si vanno a scontrare con le frontiere chiuse». Con queste parole Massimo Torelli, organizzatore dell’iniziativa, ha aperto e chiuso la manifestazione che domenica 30 aprile ha portato a Ventimiglia realtà differenti ma unite nell’obiettivo di rilanciare il tema dell’accoglienza.

Partito dalla stazione ferroviaria della città di confine e arrivato alla chiesa cattolica di Sant’Antonio, dove sono ospitati alcuni tra i migranti bloccati al confine tra Italia e Francia, il corteo ha raccolto l’adesione di persone e organizzazioni della società civile italiana e di quella francese, che hanno voluto dare voce a un dibattito che supera i confini nazionali. «Siamo venuti a Ventimiglia – racconta lo storico e sociologo Marco Revelli, che insieme al fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, è uno dei principali promotori della manifestazione – perché questo è un luogo di confine, una delle frontiere che passano sulle Alpi. Ovunque ci sia un confine che si alza e impedisce il passaggio c’è sofferenza, prima di tutto quella delle persone che vorrebbero passare, visto che qui le persone muoiono cercando di attraversare la frontiera. Ma c’è anche la sofferenza dei luoghi, delle comunità, delle città: Ventimiglia è una città che patisce la chiusura di questo confine».

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L’iniziativa ha visto la partecipazione di alcune centinaia di persone, che hanno sfilato dietro a uno striscione che recitava Per la solidarietà, contro l’intolleranza. Un’intolleranza che, ricorda l’autore televisivo Carlo Freccero, è alimentato da «un contesto molto problematico, quello nel quale chi crea questa sofferenza sospetta anche che ci sia qualcuno che vuole creare altro business e un vantaggio economico, oppure addirittura che abbia una valenza politica. Credo che occorra in qualche modo governare il fenomeno, non vorrei che ci fosse sotto un’ulteriore fregatura». Il riferimento è alla campagna che da alcune settimane vede le organizzazioni umanitarie che salvano la vita alle persone in mare trasformate in bersaglio di attacchi politici ai quali è necessario rispondere. «Sotto attacco – sostiene ancora Revelli – non ci sono solo le organizzazioni non governative, ma più in generale i cittadini solidali che accolgono i richiedenti asilo che arrivano in Italia, li sostengono sulla frontiera e nel loro viaggio, offrendo momenti di umanità e ascolto, ma anche di ospitalità, complicità, alimenti, in alcuni casi anche passaggi oltre frontiera mossi da ragioni umanitarie».

Intorno alla manifestazione non sono mancate alcune polemiche locali, legate soprattutto alla mancata partecipazione delle autorità di Ventimiglia e alla scarsa presenza dei cittadini, che avevano percepito il corteo come un attacco alla città e all’accoglienza che viene portata avanti. Tuttavia, è proprio Torelli a chiarire che «non sono i comuni i responsabili della situazione, il fatto che le persone si blocchino a Ventimiglia è solo per motivi storici e geografici, perché siamo a due passi dalla Francia e questo fa sì che qui ci sia la massima drammaticità».

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L’iniziativa è stata un’occasione di incontro tra le realtà italiane e quelle francesi, che hanno voluto ribadire la necessità di opporsi alla criminalizzazione della solidarietà che colpisce proprio chi cerca di colmare le lacune delle istituzioni. Al centro della discussione i decreti Minniti-Orlando e i poteri speciali dati ai sindaci per difendere il decoro urbano, che avevano portato nelle scorse settimane alle prime multe legate a un’ordinanza emessa l’11 agosto 2016 dal sindaco di Ventimiglia, Enrico Ioculano, con la quale si vietava la distribuzione del cibo in strada ai migranti. Anche se revocata lo scorso 22 aprile, questa decisione dell’amministrazione comunale sembra tracciare una strada che i recenti decreti governativi non fanno altro che incentivare. «Sono venuta qui con tanti amici francesi – racconta Teresa Maffeis, attivista francese del colectif des migrants 06 e della association pour la démocratie a Nice – perché gestisco la colletta dei vestiti e del cibo, che portiamo alla Caritas o al campo delle Gianchette da due anni, e devo dire che la solidarietà francese è sempre presente. Quello che è meno positivo è che la Francia mantiene chiusa la frontiera e chi è qui vorrebbe soltanto partire per costruire una nuova vita».

Al di là del confine, inoltre, si avvicina il secondo turno delle elezioni presidenziali, che vedrà opposti il centrista indipendente Emmanuel Macron e la candidata dell’estrema destra, Marine Le Pen. La questione migratoria è tutt’altro che secondaria in una campagna vissuta anche sull’onda della paura di attentati. Per le migrazioni, però, spiega ancora Teresa Maffeis, «non è soltanto una questione di paura, ma è che la gente non ne vuole sapere nulla. Qui vediamo tante persone che arrivano dalle ex colonie francesi e che fino a qualche anno fa potevano entrare tranquillamente in Francia per lavorare. Ora non li vogliono più, ma è anche perché le persone non stanno attente alle sofferenze, a quello che succede e alle nostre responsabilità dirette e indirette. È un problema di tutta l’Europa. Spesso, quando vengo qui a portare gli aiuti, porto qualche francese con me, e quando arrivano qui vedono che i migranti sono uomini come tutti, non sono lì a lamentarsi, vogliono conoscere il tuo paese, la tua vita, poi vedono i bambini, e senza che da parte nostra si debbano raccontiamo le storie, allora cominciano a capire che si deve fare qualcosa».

Di storie si occupa invece lo scrittore Enzo Barnabà, che tra le sue opere ha raccontato anche le migrazioni di italiani in Francia e quelle di africani in Europa. «Qui ci sono moltissime storie diverse. C’è chi viene da situazioni terribili, come la famiglia del Darfur che era stata aiutata da Felix Croft: uno dei bambini aveva i segni delle bruciature inferte dal conflitto. C’è poi chi viene nella speranza di migliorare dalla propria vita, quelli che vengono chiamati “migranti economici”: sono soprattutto giovani mandati dai famigliari con lo scopo di venire in Occidente a lavorare e mandare i risparmi a casa. Questa delle rimesse è una molla importante: dal 2002 la quantità di aiuti dovuti alla cooperazione internazionale è stata superata dalla quantità di soldi che arrivano in Africa grazie alle rimesse degli emigranti. Ecco, l’emigrazione è una risorsa fondamentale dell’Africa di adesso».

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Fuori dalla stretta attualità, non sono mancate le riflessioni sull’idea stessa del confine tra Italia e Francia. «La letteratura e la storia – ragiona Marco Revelli – ci dicono che le montagne non sono mai state barriere, bensì luoghi di attraversamento. Lo sanno i montanari delle mie valli del Cuneese che passavano la frontiera con la Francia ogni stagione per venire in Costa Azzurra, in Provenza, a lavorare. Lo sapevano i bambini che andavano a offrirsi al “mercato delle braccia” di Barcelonnette e venivano “affittati” per la stagione estiva. Ce lo dicono gli splendidi romanzi di Biamonti cosa raccontano questi sentieri, che sono passaggi, a volte mortali. Le Alpi sono questo: trasformarle in barriere significa assumere soltanto la parte barbarica dell’Europa».

La manifestazione intende essere la prima di una campagna strutturata su tutto il territorio nazionale. «Staremo sulle frontiere – conclude Massimo Torelli – perché è lì che fisicamente si bloccano i percorsi migratori, ma saremo presenti anche nelle varie città nelle quali, sfruttando i decreti Minniti-Orlando, i sindaci, sbadati o alla ricerca del consenso elettorale di breve respiro, faranno ordinanze sbagliate come quella fatta qua a Ventimiglia. È tutto da dimostrare che siamo minoranza».

Immagini di Marco Magnano

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